Milano, 27 giugno 2025 – Nuove scoperte paleontologiche provenienti dal Giappone gettano nuova luce sull’evoluzione e il ruolo ecologico dei calamari nei mari del passato. Uno studio dell’Università di Hokkaido, pubblicato sulla rivista Science, ha rivelato che questi cefalopodi erano già comparsi circa 100 milioni di anni fa e si erano rapidamente affermati come predatori dominanti negli oceani del Cretaceo.
La scoperta dei fossili con la tomografia digitale
Grazie all’innovativa tecnica di digital fossil mining, che consente di scansionare digitalmente intere rocce per rivelare i fossili nascosti al loro interno in tre dimensioni, i ricercatori hanno analizzato campioni provenienti da formazioni rocciose giapponesi risalenti al Cretaceo. In totale sono stati individuati i becchi fossili di 263 antichi calamari, tra cui esemplari appartenenti a 40 specie mai documentate prima d’ora.
Shin Ikegami, primo autore dello studio, sottolinea come “sia per numero che per dimensioni, questi antichi calamari dominavano nettamente i mari. Le loro dimensioni corporee erano paragonabili a quelle di molti pesci e addirittura superiori a quelle delle ammoniti rinvenute nelle stesse rocce. Questo dimostra che i calamari prosperavano come i nuotatori più abbondanti nell’oceano antico”.
Inoltre, lo studio ha identificato che i due principali gruppi di calamari moderni – i Myopsida, tipici delle acque costiere, e gli Oegopsida, che abitano i mari aperti – erano già presenti nel Cretaceo, contraddicendo la precedente convinzione secondo cui questi cefalopodi avessero iniziato a prosperare solo dopo l’estinzione di massa che pose fine all’era dei dinosauri, circa 65 milioni di anni fa.
Il contesto marino del Cretaceo: cambiamenti climatici e impatti sugli ecosistemi
Questa importante scoperta si inserisce in un quadro più ampio di studi sugli antichi ecosistemi marini e sulle cause che hanno influenzato la biodiversità nel corso delle ere geologiche. Parallelamente alla ricerca sui calamari, recenti studi condotti da team internazionali, tra cui scienziati di Belgio, Francia, Russia e Regno Unito, hanno avanzato nuove ipotesi sull’estinzione di altri rettili marini preistorici, come gli ittiosauri.
Questi animali, che dal Triassico fino al tardo Cretaceo popolavano gli oceani terrestri, si nutrivano principalmente di pesci e calamari e avevano corpi affusolati simili a quelli dei delfini, adattati per la velocità. Tuttavia, nonostante la loro lunga presenza, gli ittiosauri scomparvero milioni di anni prima dell’estinzione di massa che eliminò i dinosauri.
Il gruppo di ricerca guidato dal dott. Valentin Fischer ha analizzato reperti fossili e dati ambientali per comprendere meglio le cause di questa estinzione. Le evidenze indicano che il fattore principale sarebbe stato il cambiamento climatico durante il Cretaceo, con fluttuazioni delle temperature marine e mutamenti chimici negli oceani che sconvolsero gli ecosistemi. Questo avrebbe provocato condizioni sfavorevoli, come temperature più alte, diminuzione delle calotte polari e bassi livelli di ossigeno, alle quali gli ittiosauri non riuscirono ad adattarsi a causa di un ritmo evolutivo troppo lento.
Secondo Fischer, “i livelli e le temperature del mare in aumento riorganizzarono completamente gli ecosistemi marini circa 100 milioni di anni fa. Nonostante i calamari prosperassero in quel periodo, gli ittiosauri non riuscirono a stare al passo con questi cambiamenti e si estinsero”.
Questi mutamenti climatici influirono anche sulla disponibilità delle prede, sulle rotte migratorie e sui luoghi di riproduzione, elementi chiave che probabilmente contribuirono in modo congiunto alla scomparsa degli ittiosauri. La ricerca suggerisce dunque che la loro estinzione non fu un evento isolato, ma parte di un più ampio processo globale di trasformazione degli ecosistemi marini.
Lo studio dei fossili di calamari e le nuove teorie sull’estinzione degli ittiosauri rappresentano passi importanti per comprendere la complessa storia della vita negli oceani antichi e i meccanismi con cui i cambiamenti ambientali possono influenzare la biodiversità su scala globale. Le tecniche avanzate di imaging digitale stanno aprendo nuove frontiere nella paleontologia, permettendo di scoprire dettagli finora inaccessibili e di ricostruire con maggiore precisione le dinamiche evolutive di milioni di anni fa.