Fa discutere il caso della divulgazione delle chat private delle tre “attiviste femministe” Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene (indagate per stalking), nelle quali avrebbero insultato figure istituzionali come il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la senatrice a vita Liliana Segre e la scrittrice Michela Murgia.
Vagnoli, Fonte, Sabene: chat private diventate pubbliche
“Un vecchio di merda“. Così viene definito il presidente della Repubblica in una chat privata. “Una persona di merda“, invece, è il giudizio riservato alla scrittrice Michela Murgia. E ancora: Cecilia Sala diventa “una martire perfetta” dopo l’arresto in Iran, mentre la senatrice a vita Liliana Segre è bollata come “una vecchia nazi“.
Frasi che, da conversazioni riservate, sono finite agli atti di un’inchiesta della Procura di Monza. Per capire come sia stato possibile, bisogna tornare al 9 ottobre scorso, quando il pm Alessio Rinaldi ha notificato la chiusura delle indagini a tre note attiviste e femministe: Carlotta Vagnoli, scrittrice con quasi 400 mila follower su Instagram, Valeria Fonte e Benedetta Sabene.
Le tre sono accusate di stalking per aver organizzato campagne “denigratorie e offensive” contro il giornalista A.S., indicato come “abuser” e “manipolatore” — vicenda che lo avrebbe portato a tentare il suicidio — e contro Serena Mazzini, esperta di social media, accusata di essere la “capogruppo di soggetti omofobi, misogini, transfobici dediti alla diffusione di materiale a contenuto sessuale“.
Secondo l’accusa, le attiviste avrebbero adottato il metodo “call out”, cioè una gogna digitale mirata a “una morte sociale, pubblica e lavorativa“. È quanto ammette una delle protagoniste in una chat ora agli atti.
Gli insulti al Capo dello Stato Mattarella
A fornire materiale all’indagine sono migliaia di messaggi raccolti dal Nucleo operativo della Polizia locale di Sesto San Giovanni. Tra i gruppi analizzati c’è una chat Whatsapp chiamata “Fascistella”, frequentata, secondo gli atti, da Vagnoli, Fonte, Flavia Carlini (vicepresidente dell’intergruppo parlamentare per i diritti fondamentali della persona), l’attivista palestinese Karem Rohana e il divulgatore Giuseppe Flavio Pagano.
Durante il discorso di fine anno del presidente Sergio Mattarella, Carlini scrive: “Ma lo state sentendo a quel vecchio di merda di Mattarella?“. Vagnoli risponde: “Ovvio“. Rohana aggiunge: “Spero non arrivi al 2025“.
Nella stessa chat, lo stesso Rohana definisce Liliana Segre “una vecchia nazi“, mentre Vagnoli scrive: “Io sogno un duomo di Milano anche in faccia a Salvini“, richiamando l’episodio del 2009 in cui Berlusconi venne colpito da una statuetta.

“Michela Murgia era una persona di merda”
Dalle chat emergono anche commenti su figure del mondo culturale. Vagnoli scrive di Michela Murgia, scomparsa nell’agosto 2023: “Michela era in gran parte una persona di merda eh. E lo dico con cognizione di causa e non poco dolore. Né era anche abbastanza trasparente“. E aggiunge: “Eviterei di ritenere Murgia una che si batteva per la sanità pubblica visto che ha evaso il fisco per anni rivendicandolo“.
Il 19 dicembre 2024, dopo l’arresto della giornalista Cecilia Sala in Iran, Fonte commenta: “Questo la renderà la martire perfetta“. Carlini rincara: “Ci scriverà un bel libro e si farà tanti soldi“. Vagnoli dissente: “Forse sbruffoncellare per una donna (…) in una prigione iraniana non è proprio il massimo. Mi sembra di leggere quelli che dicono alle donne che se la sono cercata e sinceramente mi disgusta un po’“. Poi precisa: “Ovvio, è una repubblica fondata sugli amici dei potenti, la nostra Sala di questi potenti ne ha parecchi vicino“.
Non mancano insulti a Chiara Valerio (“Nell’ultimo anno si è dimostrata una fascista omotransfobica pro Israele“), con commenti allusivi anche su Roberto Saviano e Paolo Mieli. Decine di messaggi, infine, riguardano Selvaggia Lucarelli, che sul Fatto Quotidiano ha raccontato per prima il contenuto delle chat.
“Lui è come Turetta”
Molte conversazioni, invece, sono direttamente collegate all’inchiesta. Il giornalista A.S., che ha denunciato, viene definito un “abuser” per aver intrattenuto una relazione segreta con Benedetta Sabene, mentre era già impegnato con un’altra donna. Dopo la scoperta, scatta il “call out” pubblico contro di lui.
Costretto a rinunciare a un evento a Torino, è descritto come “un pazzo fottuto manipolatore“. Vagnoli arriva a paragonarlo a Filippo Turetta, l’assassino di Giulia Cecchettin: “Uno come Turetta“. E aggiunge: “Potrei sentire Elena Cecchettin“, la sorella della vittima.
La “lista nera”
Negli atti compare anche un file Word intitolato “La lista nera”, che secondo gli inquirenti raccoglie 14 nomi di personaggi noti e non, divisi per città e tipo di accusa (“molestatori, manipolatori, ricattatori“).
Tra loro figurano un paio di politici, un cantante, giornalisti, attivisti e scrittori. “Abbiamo solo iniziato, io ve lo dico“, scrive Valeria Fonte fotografando il documento, assicurando però di averlo inviato solo a “due persone di cui mi fido ciecamente“.
Vagnoli, Fonte, Sabene: le reazioni delle indagate
Dopo la pubblicazione delle conversazioni, Carlotta Vagnoli si è detta “sconcertata” su Instagram: la divulgazione degli atti avrebbe “messo a rischio non solo l’incolumità delle indagate ma anche tre persone estranee ai fatti“.
Critica la decisione di rendere pubbliche “conversazioni di privati cittadini“.
Valeria Fonte, invece, rivendica apertamente le sue posizioni: “Rivendico ciò che ho detto sui sionisti, sui giornalisti italiani, sulle persone transfobiche e omofobiche, sugli uomini, sui politici“.
A replicare è Cecilia Sala, che scrive: “Ci siamo fatti spiegare i diritti umani da quelli che godono quando l’Iran rapisce una giornalista. Ci siamo fatti spiegare le molestie dagli indagati per stalking“.
Un caso che divide
Le chat private diventate pubbliche non solo alimentano l’inchiesta giudiziaria, ma sollevano un dibattito più ampio sul confine tra libertà di parola e responsabilità digitale. In attesa che la procura di Monza decida se chiedere il rinvio a giudizio, resta agli atti un flusso di messaggi che racconta il lato più cupo dei social militanti: quello in cui l’indignazione si trasforma in odio e la “morte sociale” diventa un obiettivo dichiarato.






