Milano, 23 ottobre 2025 – Emergono nuovi dettagli nella maxi inchiesta sulle violenze nel carcere minorile Beccaria di Milano, che dal 2024 ha visto coinvolti numerosi agenti della Polizia penitenziaria accusati di torture, pestaggi e maltrattamenti. Tra i 51 indagati figurano anche due figure di rilievo legate all’istituto: il noto cappellano don Gino Rigoldi e il suo successore don Claudio Burgio. Entrambi sono iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di “omessa denuncia”, poiché ritenuti consapevoli delle violenze avvenute all’interno del carcere.
Torture al Beccaria, la posizione di don Gino Rigoldi e don Claudio Burgio
Stamane, alla notizia della loro iscrizione, i due religiosi hanno ribadito quanto già dichiarato nelle audizioni come testimoni: non erano a conoscenza dell’esistenza di un vero e proprio “sistema di violenze” documentato da centinaia di pagine di atti investigativi. Don Gino e don Claudio hanno spiegato di aver ritenuto che le azioni degli agenti fossero semplicemente procedure di “contenimento” rivolte a ragazzi con comportamenti difficili, senza percepire la gravità delle condotte.

La Procura ha comunque deciso di stralciare la loro posizione da quella degli altri 42 indagati per i quali, a partire dal 30 ottobre, inizierà il maxi incidente probatorio. Tale fase prevede l’ascolto di 33 vittime minorenni per cristallizzare le dichiarazioni in vista del processo. Rispetto ai 42 già noti, un’informativa della Squadra mobile di marzo ha aggiunto altri nove nomi, tra cui quelli dei due cappellani, inizialmente coperti da “omissis”.
Va precisato che a don Rigoldi e don Burgio non vengono contestate le accuse mosse nei confronti degli ex vertici del penitenziario, come le direttrici Cosima Buccoliero e Maria Vittoria Menenti, accusate di non aver impedito le “condotte reiterate violente e umilianti” degli agenti verso i detenuti minorenni. Ai due sacerdoti è invece contestato di non aver denunciato, pur essendo consapevoli delle violenze. Tuttavia, la loro posizione appare più sfumata, non essendo stati sottoposti ai maxi accertamenti testimoniali dell’incidente probatorio, e si ipotizza che possa arrivare una richiesta di archiviazione.
Le intercettazioni e le dichiarazioni raccolte
Tra gli elementi a carico dei due cappellani vi sono le annotazioni investigative che evidenziano una loro “consapevolezza delle violenze”. In particolare, in una intercettazione del 26 aprile 2024, don Gino Rigoldi commentava a voce bassa alcuni fatti: citava un ex vicecomandante della Polizia penitenziaria che “copriva certe situazioni” e definiva uno degli agenti “un noto picchiatore”. Il sacerdote, riflettendo sull’intera vicenda, ammetteva di aver vissuto “il fatto di non aver capito il male” e auspicava una riflessione collettiva sul perché nessuno avesse visto o denunciato le violenze.
Don Claudio Burgio, in un colloquio con una psicologa, ammetteva invece che forse “con troppa leggerezza sono state prese le cose” e che nessuno avrebbe immaginato una situazione così sistematica di abusi. Queste dichiarazioni sono parte di un quadro complesso che la Procura sta ancora valutando con attenzione.
Il caso del Beccaria e il coinvolgimento dei cappellani pone un’attenzione critica sull’intera comunità educativa e penitenziaria, con un’indagine che prosegue a ritmo serrato in vista del processo.
