13 agosto 2007: il giorno in cui la cittadina di Garlasco iniziò a riempire le pagine della cronaca italiana. Ecco tutti i misteri ancora irrisolti sull’omicidio di Chiara Poggi
A quasi vent’anni di distanza dall’omicidio di Chiara Poggi, quello di Garlasco continua ad essere uno dei casi più controversi della cronaca nera italiana. Nonostante la condanna definitiva di Alberto Stasi, avvenuta nel 2015, molti osservatori, esperti e cittadini restano convinti che la verità non sia mai emersa del tutto. Il caso, tornato ciclicamente alla ribalta, è ancora segnato da una lunga serie di misteri irrisolti. Vediamo quali sono i principali.
I principali misteri di Garlasco: cosa è successo davvero quel 13 agosto 2007?
Alberto Stasi sta scontando una condanna definitiva, ma le domande che ruotano intorno alla morte di Chiara Poggi restano in larga parte senza risposta. Nessuna arma, nessun testimone, nessuna confessione. Una scena del crimine ambigua, una ricostruzione piena di lacune, figure sfiorate ma mai approfondite. Ecco i principali punti oscuri che rendono questa vicenda un enigma giudiziario ancora vivo.
Il movente mai chiarito
Chiara Poggi, 26 anni, fu ritrovata priva di vita nella sua villetta di Garlasco il 13 agosto 2007. Nessun segno di effrazione, nessuna rapina. A dare l’allarme fu Alberto Stasi, il fidanzato, poi condannato in via definitiva. Ma perché avrebbe dovuto ucciderla? Il movente è rimasto una congettura.
Litigi di coppia, tensioni personali, addirittura motivazioni sessuali: tutte ipotesi ventilate, ma mai dimostrate. Un vuoto logico su cui si è costruita una condanna.
L’arma del delitto mai trovata
Chiara fu colpita con un oggetto contundente alla testa, ma l’arma non è mai stata rinvenuta. Si è ipotizzato un oggetto metallico compatto, forse un attizzatoio da camino. Ad oggi, però, nessuna prova oggettiva ha mai confermato queste ipotesi, rendendo il quadro probatorio fragile fin dalle prime fasi.
Qualche giorno fa, tuttavia, potrebbe essere arrivata la svolta su questo fronte: nel torrente di Tromello – in seguito a un’importantissima testimonianza – sarebbe stato ritrovato un qualcosa che in molti pensano possa essere l’arma del delitto. In attesa della conferma degli inquirenti, però, si possono fare solo ipotesi.
L’assenza di tracce di sangue su Stasi
Alberto Stasi ha sempre sostenuto di non essere sceso nella taverna dove si trovava il corpo, ma solo di aver “guardato dentro”. I consulenti di parte, però, ritengono improbabile che non si sia sporcato di sangue, anche solo passando vicino al cadavere.
I giudici, quindi, hanno dedotto che si sia cambiato e ripulito, fattore che ha contribuito alla sua condanna. Tuttavia, anche in questo caso nessuna prova materiale. Per quale motivo l’allora fidanzato di Chiara Poggi non si è sporcato? La domanda non ha ancora trovato una risposta.
Il dispenser del bagno di casa Poggi e l’assenza di sangue nel lavandino
Uno degli elementi chiave citati nella sentenza di condanna di Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi riguarda il dispenser del sapone nel bagno di casa Poggi. “Sul dispenser del sapone – sicuramente utilizzato dall’aggressore per lavarsi le mani dopo il delitto – sono state trovate soltanto due impronte, entrambe dell’anulare destro di Alberto Stasi”, si legge nella motivazione. Per la Corte, questo dimostrerebbe un tentativo accurato di pulizia da parte dell’imputato, che avrebbe lavato mani, dispenser e lavandino, giustificando così l’assenza di tracce ematiche.
Eppure, le perizie svolte durante il processo di primo grado raccontano una realtà differente. I RIS e gli accertamenti tecnici non rilevarono alcuna traccia di sangue: né nel sifone, né sul rubinetto, né sul dispenser. Anzi, dalle foto emerge un lavandino tutt’altro che igienizzato, con capelli di Chiara visibili e tracce di DNA del padre, assente da giorni.
Quanto al famigerato dispenser, oltre alle impronte di Stasi – non databili e compatibili con una normale frequentazione dell’ambiente – venne rilevato anche DNA di Chiara e della madre, ma non di Stasi. Inoltre, il dispenser presentava colature di sapone e crosticine, incompatibili con una pulizia accurata.
L’ipotesi della sentenza, secondo cui l’assassino avrebbe lavato tutto in un lasso di tempo di 23 minuti (omicidio, pulizia, occultamento arma, ritorno a casa in bici, cambio e accesso al PC), inoltre, appare logisticamente discutibile.
La bicicletta e i pedali non originali
Altro elemento controverso: la bicicletta. Due testimoni affermarono di aver visto una bici nera appoggiata al muro di casa Poggi durante l’orario compatibile con l’omicidio. I carabinieri, allora, perquisirono casa Stasi e trovano tre biciclette, nessuna delle quali corrisponde alla descrizione.
Il padre di Stasi, però, menzionò una quarta bici, custodita nel suo negozio. Questa venne inizialmente esclusa dai rilievi, ma anni dopo, nel 2014, una scoperta ribaltò tutto: i pedali della bicicletta rossa “Umberto Dei” in uso ad Alberto non sarebbero originali.
Secondo l’accusa, Stasi avrebbe smontato i pedali di un’altra bici (quella presuntamente usata il giorno del delitto), forse sporchi di sangue, per montarli sulla sua bici personale. Ma le analisi non rilevarono sangue: solo un globulo bianco, inizialmente interpretato come prova ematica, ma poi escluso dai periti del tribunale perché non appartenente a Chiara. Nessuna traccia ematica, né emoglobina: solo DNA definito “altamente cellulato”, probabilmente pelle.
La teoria dello scambio dei pedali, quindi, si fonda su un presupposto non dimostrato: la presenza di sangue. A confutare questa ipotesi è anche una consulenza tecnica disposta dalla Procura generale, che evidenzia come i pedali non siano mai stati sostituiti.
Eppure, nonostante questi elementi critici, la narrazione pubblica e mediatica si è concentrata su segnali comportamentali e su indizi non sempre supportati da solide prove scientifiche.
L’impronta delle dita sulla maglietta di Chiara e la “pedata” sulla scena del crimine
Sulla scena del crimine venne rilevata una parziale impronta di scarpa compatibile con quelle di Stasi. Nessuna “prova regina”, ma uno degli indizi che ha pesato nel processo. Il problema? Non si ha la certezza che quell’impronta appartenga davvero all’allora fidanzato della vittima. Anche qui, infatti, le rilevazioni vennero fatte in maniera molto approssimativa.
Inoltre, sulla maglietta di Chiara Poggi vennero ritrovate 4 impronte di dita della mano insanguinate, una prova che avrebbe avuto un’importanza cruciale per determinare il colpevole. E allora perché non è stata utilizzata? Semplice: il corpo venne “maneggiato” con poca cura, e quelle tracce si persero a causa di un “rotolamento in una pozza di sangue”.
Un semplice – ma gravissimo – errore, o una mossa premeditata? Per molte persone la seconda ipotesi non sarebbe da scartare a priori.
Le telefonate e l’atteggiamento freddo di Stasi dopo il ritrovamento
“Credo che abbiano ucciso una persona, non ne sono sicuro, forse è viva”. È con queste parole che Alberto Stasi si rivolse all’operatrice del 118 nel primo pomeriggio del 13 agosto 2007, il giorno in cui Chiara Poggi venne trovata senza vita nella sua villetta di via Giovanni Pascoli, a Garlasco, in provincia di Pavia. La chiamata, entrata nella storia della cronaca nera italiana per il suo tono “ambiguo”, è uno dei tasselli che ha contribuito a rendere il delitto uno dei più controversi del nostro Paese.
Secondo quanto raccontato dallo stesso Stasi all’operatrice, lui si era recato a casa della fidanzata e, trovando una scena inquietante, stava dirigendosi alla vicina caserma dei carabinieri per denunciare quanto visto.
La chiamata al 118 fu registrata alle 13:50. A quell’ora, Chiara giaceva già morta lungo la scalinata che portava alla taverna della villetta. La conversazione si aprì con una richiesta urgente: “Mi serve un’ambulanza in via Giovanni Pascoli a Garlasco”. L’operatrice, seguendo il protocollo, chiese conferma dell’indirizzo e il numero civico. La risposta di Stasi fu netta: “29, è una via senza uscita, la trova subito”.
Ma Stasi commise un errore: il civico 29 non corrispondeva alla casa di Chiara Poggi. Si trattava, in realtà, dell’abitazione dello stesso Stasi, situata in via Carducci, mentre la villetta dei Poggi si trovava al civico 8 di via Pascoli. Una confusione che ha suscitato interrogativi nelle indagini successive, alimentando dubbi sull’effettiva lucidità e attendibilità del ragazzo in quel momento.
Quando l’operatrice cercò di capire cosa fosse realmente accaduto, chiese: “Ma in che sens… cioè, cos’è successo? Lei cosa vede?”. Stasi, che in quel momento si stava dirigendo alla caserma, distante circa 600 metri dalla scena del crimine, rispose: “C’è sangue dappertutto e lei è sdraiata per terra”. L’operatrice chiese quindi se la donna fosse una parente, e lui precisò: “No, è la mia fidanzata”. La conversazione si concluse con Stasi che comunicò di essere arrivato alla caserma.
Una telefonata ormai divenuta famosissima, che cela un comportamento definito “freddo e calcolato” dall’accusa, ma che per la difesa fu frutto dello shock. Anche questo aspetto ha diviso per anni esperti e opinione pubblica.
Un iter processuale controverso
Tre gradi di giudizio, una doppia assoluzione, poi la Cassazione che ribaltò tutto e ordinò un nuovo processo. La condanna per Alberto Stasi arrivò solo nel 2015, ma l’andamento del processo ha alimentato il sospetto che più di una verità fosse possibile, e che la giustizia si sia affidata a un mosaico di indizi più che a certezze.
Andrea Sempio: tutti i misteri sull’amico di Marco Poggi
Tra il 2016 e il 2017, un nuovo nome è emerso nelle cronache: quello di Andrea Sempio, amico di Marco Poggi e delle gemelle Cappa, a loro volta vicine a Chiara. Il DNA di Sempio, trovato sul computer della vittima, non venne analizzato perché per la procura non c’era possibilità di compararlo con quello raccolto, poiché “esiguo” e “degradato”.
La Procura, quindi, archiviò rapidamente. Poi uscì la notizia delle “strane telefonate” a casa Poggi nei giorni antecedenti l’omicidio – nonostante sapesse che il suo amico Marco fosse in vacanza –, ma anche in questo caso nulla cambiò: Andrea Sempio non fu mai indagato. Almeno fino a quest’anno.
Proprio in questi giorni, inoltre, alcuni consulenti del RIS hanno individuato una possibile compatibilità tra un’impronta rilevata sul luogo del delitto e la sua mano. Un’ombra che pesa, che ha sempre gravitato intorno al mistero di garlasco, ma che nessuno ha mai davvero approfondito… per quale motivo?
Le gemelle Cappa: legami, rivalità e silenzi
Stefania e Paola Cappa erano tra le persone più vicine a Chiara. Alcune testimonianze le descrivono come legate da una dinamica complessa, forse fatta anche di gelosie. Si è ipotizzato anche che una delle due nutrisse un interesse per Stasi.
I loro racconti presentano contraddizioni, ma nessun magistrato ha mai ritenuto di indagarle. Eppure, restano figure sospese in un’indagine piena di interrogativi. Prima quello strano fotomontaggio per davanti casa Poggi, poi il racconto dell’operaio Muschitta – che incredibilmente, e in maniera sospetta, ritrattò tutto – e infine la testimonianza che ha portato alla riapertura del caso in queste settimane. Perché, fino ad adesso, sono state considerate in maniera così superficiale?
A diciotto anni dall’omicidio di Chiara Poggi, il caso Garlasco continua a essere avvolto da fitte ombre. Eppure, qualcosa sembra finalmente muoversi. Le lacune investigative restano numerose, ma questa volta gli inquirenti sembrano avere tra le mani un elemento potenzialmente decisivo, un riscontro che – secondo indiscrezioni – potrebbe riscrivere la storia di uno dei delitti più controversi della cronaca nera italiana.
Un possibile punto di svolta, che apre a nuovi scenari in una vicenda, ancora oggi, segnata da domande senza risposta.