Nel 2010 Roberto Baggio presentò alla FIGC un report di 900 pagine per riformare il Settore Tecnico, di cui era presidente, un vero e proprio dossier che rimase, tuttavia, lettera morta. E che ora, a distanza di anni, ancora in tanti rimpiangono.
La Nazionale italiana di calcio sta affrontando una nuova crisi sportiva e strategica. Il cammino per le qualificazione ai Mondiali del 2026 è iniziato nel peggior modo possibile con la sconfitta in Norvegia, l’esonero di Spalletti e lo striminzito 2-0 contro la Moldova. Non solo. Il rifiuto di Claudio Ranieri di prendere in mano una nave che, se non a picco quantomeno alle prese con continue imbarcate di delusione, allarga ancor più lo squarcio su una gestione in totale confusione non solo della Nazionale maggiore, ma di tutto il movimento azzurro ancora oggi sotto la guida del presidente Gravina.
Se l’Europeo vinto nel 2021 è riuscito nell’impresa di gettare fumo negli occhi a chi, ottimisticamente, credeva che il calcio italiano fosse tornato ad antichi splendori, ci ha pensato la seconda esclusione di fila dalla Coppa del Mondo e il corso di Spalletti mai davvero nato in termini di risultati a farci ripiombare nei nostalgismi e nelle opportunità mancate. Come quella arrivata nel 2010, dopo un’altra amara campagna, quella dei Mondiali in Sudafrica, un’opportunità che portava il nome di Roberto Baggio.
L’eredità di Roberto Baggio e il progetto mai realizzato
Pochi ricordano che Roberto Baggio, sì, proprio il Divin Codino, sia stato per un breve periodo alla guida del Settore tecnico della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC). Nominato il 4 agosto 2010, a seguito della delusione mondiale in Sudafrica, appunto, Baggio aveva presentato un ambizioso progetto di riforma per il calcio italiano, finalizzato a rinnovare le fondamenta della formazione giovanile e a creare un movimento più competitivo e moderno. Si trattava di un documento di 900 pagine, che purtroppo rimase incredibilmente lettera morta.
La sua esperienza si concluse prematuramente il 23 gennaio 2013, con un addio motivato dalla mancanza di supporto e di fondi per attuare le riforme previste. Baggio stesso lamentò di non essere stato autorizzato a lavorare davvero e di non aver ricevuto gli stanziamenti necessari, nonostante un impegno economico iniziale di circa 10 milioni di euro previsto dalla FIGC. Quel progetto avrebbe potuto rappresentare la svolta in un decennio in cui il calcio italiano ha iniziato a mostrare segni evidenti di crisi.
La crisi della Nazionale e il vuoto di idee
Dal 2010 in poi, la Nazionale italiana ha attraversato un periodo altalenante. Dopo la deludente eliminazione nei Mondiali del 2010, è arrivata la finale agli Europei del 2012 che ha fatto sperare in una ripresa. Purtroppo a questo picco è seguito un calo progressivo culminato negli ultimi Mondiali del 2018 e 2022 cui gli Azzurri hanno mancato la qualificazione. Il trionfo inaspettato di Euro 2020, ottenuto con un gruppo di talento e coesione, ha temporaneamente mascherato le difficoltà strutturali e organizzative.
Le cause della crisi attuale sono molteplici, ma una costante emerge chiaramente: non si tratta soltanto di problemi tecnici o di scelte tattiche, bensì di un deficit di visione e di idee innovative per il futuro del calcio italiano. Roberto Baggio aveva intuito questa necessità, proponendo un radicale cambiamento che avrebbe potuto invertire la rotta. Purtroppo quel tentativo è stato bloccato, lasciando il movimento in balia delle difficoltà.
La Nazionale italiana oggi: tra storia gloriosa e sfide contemporanee
Roberto Baggio non è l’unico big del nostro calcio ad essere stato praticamente esautorato dal sistema. Paolo Maldini, ad esempio, ci ha messo anni per ricoprire un ruolo dirigenziale per poi, tuttavia, essere allontanato da quel Milan che proprio lui era riuscito a riportare ai vertici del calcio non solo italiano. Alessandro Del Piero non ha mai avuto un coinvolgimento nè dalla “sua” Juventus nè tantomeno dalla Nazionale. Lo stesso vale per tanti che non hanno mai nascosto il loro amore per la casacca azzurra anche al termine della loro carriera e che, peraltro, sono liberi da impegni così come lo sono da ambizioni tecniche (dal canto loro, i vari Cannavaro, Nesta, Gattuso, De Rossi, Grosso, Inzaghi, sono solo alcuni nomi di campioni del mondo del 2006 che però stanno realizzando un percorso di carriera distante da un ruolo dirigenziale).
Tornato in auge dopo alcuni anni nell’ombra, proprio recentemente il Pallone d’Oro 1993 ha dichiarato, ospite del BSMNT: “Il calcio lo fanno i giocatori”, una frase tanto esplicita quanto criptica. Chissà se, in cuor suo, il trascinatore della Nazionale a Usa ’94 non intendesse, oltre che sul terreno di gioco, anche in vesti più manageriali.
Roberto Baggio: un simbolo eterno del calcio italiano
Roberto Baggio, nato a Caldogno nel 1967, è stato uno dei calciatori più eleganti e amati del panorama mondiale. Il “Divin Codino” ha vestito la maglia azzurra in tre Mondiali (1990, 1994, 1998), trascinando l’Italia fino alla finale del 1994. È considerato uno dei più grandi numeri dieci della storia del calcio e ha ricevuto numerosi riconoscimenti individuali. Tra questi vale la pena citare il Pallone d’Oro nel 1993 e il titolo di FIFA World Player.
Dopo il ritiro, Baggio ha dedicato parte delle sue energie al progetto FIGC. Durante questa avventura ha dimostrando un interesse profondo per il futuro del calcio italiano e per la crescita dei giovani. La sua visione, purtroppo, non è stata accolta pienamente, ma il suo esempio rimane una fonte d’ispirazione per chi crede in un calcio più etico, innovativo e competitivo.
Il destino della Nazionale italiana appare ora incerto, e la sfida per ritrovare la strada del successo passa anche dalla capacità di imparare dagli errori, valorizzando le idee e le proposte che, come quelle di Baggio, avrebbero potuto evitare catastrofi sportive come quelle degli ultimi anni.