Il rapporto annuale di Amnesty International sulla pena di morte nel mondo evidenzia un picco nel numero di esecuzioni, con 1.518 documentate nel 2024. Il 40% per reati legati alla droga. Paesi del Medio Oriente come Iran, Iraq e Arabia Saudita dominano le statistiche. Positivi progressi si registrano, con 113 stati che hanno abolito la pena di morte
Nel 2024, la pena di morte ha raggiunto un livello allarmante, segnando un picco decennale con 1.518 esecuzioni documentate in 15 paesi, secondo il rapporto annuale di Amnesty International. Questo numero rappresenta il maggiore incremento dal 2015, anno in cui si registrò il record di 1.634 esecuzioni di stato. Sorprendentemente, il 40% delle condanne è stato inflitto non per omicidi, ma per reati legati alla droga, rivelando un uso della pena capitale che spesso trascende le violazioni più gravi.
Un panorama preoccupante
È importante sottolineare che queste cifre non includono la Cina, la Corea del Nord e il Vietnam, paesi noti per la loro opacità in materia di diritti umani e per l’uso massiccio della pena di morte, anche per reati minori. Di fatto, il 91% delle esecuzioni documentate da Amnesty proviene da nazioni del Medio Oriente, in particolare Iran, Iraq e Arabia Saudita, dove l’uso di questa punizione è aumentato in modo “vertiginoso”. Insieme, questi tre paesi hanno eseguito 1.380 condanne. Ad esempio, l’Iraq ha visto un aumento esponenziale, passando da 16 a 63 esecuzioni, mentre l’Arabia Saudita ha raddoppiato il numero annuale da 172 a 345. L’Iran, dal canto suo, ha eseguito 972 condanne, rappresentando il 64% di tutte le esecuzioni confermate.
La posizione di Amnesty International
Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty, ha dichiarato che “la pena di morte è un crimine aberrante che non ha posto nel mondo di oggi”, evidenziando come solo 15 stati abbiano eseguito condanne a morte nel 2024, il numero più basso mai registrato. Tuttavia, la situazione negli Stati Uniti è preoccupante: le esecuzioni sono aumentate a 25 nel 2024, rispetto alle 24 dell’anno precedente, con un crescente sostegno politico alla pena capitale.
Riflessioni sul futuro
Il rapporto di Amnesty sottolinea anche il ruolo della pena di morte come strumento di repressione. Leader politici in vari paesi hanno sfruttato questa pratica per giustificare repressioni contro dissidenti e minoranze, alimentando un clima di paura. Tuttavia, vi sono anche segnali di progresso: 113 stati hanno abolito completamente la pena capitale, e più di due terzi dei membri delle Nazioni Unite hanno votato a favore di una risoluzione per una moratoria sulla pena di morte. Recentemente, lo Zimbabwe ha anche introdotto una legge che abolisce la pena di morte per reati comuni, segnando un importante passo avanti verso la giustizia e i diritti umani.