Reggio Emilia, 10 novembre 2025 – Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU sui diritti umani nei territori palestinesi occupati, si confronta pubblicamente con le conseguenze del suo lavoro e delle polemiche che lo hanno accompagnato. Da mesi sotto sanzioni internazionali, accusata di parzialità e oggetto di una campagna diffamatoria, Albanese si racconta in un’intervista esclusiva, chiarendo anche il proprio ruolo e le intenzioni politiche.
La difficile posizione di una relatrice ONU sotto accusa
Francesca Albanese, giurista italiana e docente universitaria, è stata nominata nel maggio 2022 relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. Nel corso del suo mandato ha denunciato con fermezza le violazioni dei diritti umani compiute da Israele, arrivando a parlare di “genocidio” con una frequenza di 233 volte nei suoi rapporti ufficiali. Questa posizione ha suscitato reazioni durissime, con Stati Uniti e Israele che le hanno imposto sanzioni, accusandola di “fomentare l’antisemitismo” e di supportare indirettamente il terrorismo.

Albanese sottolinea di essere la prima funzionaria Onu a subire un simile trattamento, paragonabile solo a quello riservato a leader come Putin o Maduro, proprio perché collabora con la Corte penale internazionale. La relatrice respinge le accuse di faziosità, evidenziando che i suoi rapporti includono riferimenti a Hamas come organizzazione terroristica, sebbene con un numero di citazioni inferiore rispetto al termine “genocidio”. Albanese mette in luce come l’attenzione mediatica si concentri più sulla sua figura che sui contenuti delle sue denunce.
Le tensioni politiche e personali
Oltre alle critiche istituzionali, Albanese è stata coinvolta in polemiche anche a livello locale. A Reggio Emilia, dove le fu conferito il Primo Tricolore, la relatrice ammette di aver commesso un errore nel rispondere al sindaco Marco Massari, dopo che quest’ultimo aveva menzionato gli ostaggi di Hamas. “Non giudico il sindaco e lo perdono. Ma non dica più cose simili”, ha detto Albanese al Corriere della Sera, sottolineando la delicatezza della questione.
Un’altra questione controversa riguarda le accuse sulla neutralità del suo mandato, sollevate a causa del passato lavorativo del marito, che ha collaborato con l’ONU in Palestina per sei mesi. Albanese chiarisce che non si tratta di un ruolo politico nell’Autorità Palestinese, ma di un incarico tecnico di supporto, e aggiunge di aver lavorato a stretto contatto con l’ANP, ribadendo la sua indipendenza.
Minacce, sanzioni e futuro politico di Francesca Albanese
La vita personale di Albanese è stata profondamente segnata dalle minacce ricevute dal 2024: messaggi di morte, intimidazioni rivolte anche alla figlia, hanno costretto la relatrice a chiedere protezione in Tunisia, dove attualmente risiede. Le sanzioni internazionali le hanno congelato i beni, hanno chiuso i suoi conti bancari e impedito la gestione del patrimonio familiare, nonostante il marito lavori per la Banca Mondiale.
Nonostante le numerose richieste di candidarsi in politica da diversi partiti italiani, Albanese esclude questa strada: “Se avessi voluto farlo, l’avrei fatto anni fa. Io resto impegnata nel mio lavoro di giurista e attivista per i diritti umani”. La sua battaglia continua dunque sul piano internazionale, con la determinazione a portare avanti una denuncia che, a suo dire, è necessaria per porre fine a decenni di occupazione e violazioni.






