Doha, 9 dicembre 2025 – Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, ha utilizzato il prestigioso forum di Doha per lanciare un accorato allarme sullo stato attuale della giustizia internazionale, denunciando il fallimento della politica globale e le atrocità in corso a Gaza. Durante la discussione, Francesca Albanese ha espresso una visione cupa del sistema, definendo la situazione a Gaza e in Palestina come un’apocalisse.
L’Apocalisse a Gaza e il fallimento dell’ONU
La Relatrice Speciale ha espresso orrore nel vedere le Nazioni Unite, la cui esistenza è legata al principio del “mai più” in seguito ai crimini della Seconda Guerra Mondiale, faticare a garantire la pace. Ha sottolineato come siano stati necessari due anni per approvare una risoluzione che includesse un cessate il fuoco.

Francesca Albanese ha poi accusato Israele di sfruttare la tregua per continuare i suoi obiettivi: “Questo sta diventando il nuovo strumento per Israele per continuare il genocidio, scusate, per continuare ciò che il genocidio non ha raggiunto: la pulizia etnica della Palestina, lo schiacciamento totale del diritto dei Palestinesi all’autodeterminazione”.
Albanese ha insistito sul fatto che la Palestina è la testimonianza di tutte le ingiustizie strutturali che affliggono anche regioni come la Somalia e lo Yemen, indicando che la crisi sta servendo come una “sveglia per tutti noi”. Questo “effetto Palestina” sta permettendo al mondo di vedere “cosa succede alla legge quando è nelle mani del potere” e ciò che collega le ingiustizie globali, identificando un “nemico comune” quando la politica è “al servizio degli interessi economici”.
Sanzioni e codardia internazionale
La discussione ha toccato anche l’esperienza personale di Francesca Albanese, la prima Relatrice Speciale delle Nazioni Unite a essere sanzionata da uno Stato (gli Stati Uniti), per aver pubblicato rapporti che prendevano di mira le corporazioni e i governi complici del genocidio a Gaza. Albanese ha affermato che chiunque si schieri per la giustizia, e non solo per il popolo palestinese, viene accusato di antisemitismo o di sostenere il terrorismo, dal Papa al Segretario Generale.
Nonostante la campagna di intimidazione, Albanese si è detta non intimidita. Ha criticato la mancanza di sostegno istituzionale, osservando che nessun membro delle Nazioni Unite si è levato contro le sanzioni, definite illegali e contrarie alla Carta ONU. “Quello che mi è rimasto è la mia dignità e la mia voce”.
Ha evidenziato la “vasta codardia” esistente nella comunità internazionale e ha promesso: “Non sarò messa a tacere finché avrò respiro nei miei polmoni”. Come madre, ha espresso la sua ferma opposizione alla normalizzazione della violenza: “Non posso accettare come madre che la brutalità che è stata scatenata giorno dopo giorno con la compiacenza e la complicità di così tanti governi, specialmente dalla parte del mondo da cui provengo, diventi la regola”.
La via per la giustizia secondo Francesca Albanese
Affrontando la questione se i diritti dipendano dal potere e dalla ricchezza, Francesca Albanese ha visto il momento attuale come un punto di svolta, grazie alla resilienza (Sumud) dei palestinesi. Ha notato l’importanza delle giovani generazioni in Occidente, che sono state le prime a protestare contro il genocidio, incontrando repressione “nella culla delle democrazie”.
Per ripristinare la fiducia e la giustizia, Albanese ha invitato a seguire le indicazioni della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ). “La Corte Internazionale di Giustizia ha già parlato. Ha detto che per porre fine alla violenza in Gaza, nel caso della Palestina, Israele deve porre fine alla sua occupazione illegale, deve ritirare le truppe, smantellare le colonie e smettere di sfruttare le risorse palestinesi. Cos’altro ci serve? La corte ha parlato, quindi seguiamola”.
A conclusione del suo intervento, ha lanciato un appello all’umanità, affermando che la giustizia richiede non solo la responsabilità attraverso i tribunali internazionali e nazionali, ma anche un “cambiamento di mentalità e un cambiamento di cuore in ognuno di noi”.






