Un’app lanciata negli Stati Uniti ha trasformato lo spettegolezzo sugli ex in un fenomeno di massa, accendendo un dibattito feroce tra tutela, privacy e rischio di diffamazione.
Viviamo in un’epoca in cui la fiducia privata viene progressivamente sostituita da archivi digitali e database collettivi. Se una volta la reputazione di una persona si formava attraverso racconti frammentati, oggi la tecnologia ha reso possibile organizzare quelle narrazioni in sistemi di sorveglianza partecipata. Il tema riguarda in particolare la sfera più delicata: le relazioni. Negli Stati Uniti, infatti, è esplosa Tea, un’applicazione che permette alle donne di recensire gli uomini con cui sono uscite, condividendo esperienze, foto e segnalazioni. In pochi giorni ha raggiunto quasi un milione di download e ha scalato la classifica dell’App Store, diventando la prima app lifestyle del momento. Ma al successo iniziale si sono accompagnati anche critiche feroci, timori sulla privacy e un effetto domino che ha portato alla nascita di una versione speculare al maschile.
Tea, dall’idea personale al boom virale
L’app è nata da una storia privata. Sean Cook, ex manager di Salesforce, ha deciso di sviluppare Tea dopo che sua madre era stata vittima di catfishing e di frequentazioni rischiose con uomini dall’identità poco chiara. L’obiettivo dichiarato era fornire uno strumento di protezione per le donne, trasformando la tecnologia in un alleato durante gli incontri. Per accedere è prevista una verifica con selfie e intelligenza artificiale, così da garantire che l’iscrizione sia riservata solo a un pubblico femminile. Una volta dentro, le utenti possono condividere recensioni sugli uomini, segnalando atteggiamenti, comportamenti sospetti o semplicemente raccontando la propria esperienza.
Tea non si limita al gossip: offre strumenti avanzati, come la possibilità di effettuare ricerche inverse sulle immagini per smascherare profili falsi, controlli sui precedenti penali, incroci con database pubblici di molestatori sessuali e persino chat collettive anonime dove migliaia di donne discutono e si confrontano. Una sorta di assemblea digitale di autodifesa, che ha già coinvolto più di 1,7 milioni di donne. L’app ha anche una dimensione etica: destina il 10% dei suoi profitti alla hotline nazionale contro la violenza domestica.

Il lato oscuro: tra fughe di dati e accuse di diffamazione
Il successo, tuttavia, ha mostrato rapidamente le sue fragilità. A fine luglio, utenti di 4chan hanno scoperto un database collegato a Tea contenente documenti d’identità e selfie delle iscritte. Una fuga di dati che ha ribaltato l’immagine dell’app: da strumento di protezione a caso emblematico di vulnerabilità collettiva. Non solo: la logica alla base della piattaforma – condividere foto e storie di uomini senza il loro consenso – ha aperto la strada a critiche pesanti.
Da un lato ci sono donne che vedono in Tea un aiuto concreto per evitare incontri pericolosi, dall’altro ci sono uomini che denunciano il rischio di diffamazione gratuita. Le bacheche di Reddit e X si sono riempite di accuse di doppi standard, con utenti che parlano di reputazioni rovinate da recensioni rancorose e di una cultura che sembra trasformare il sospetto in norma. In molti si chiedono dove sia il confine tra tutela e vendetta, tra denuncia legittima e desiderio di demolire l’immagine di un ex.
TeaOnHer, la replica maschile che peggiora la situazione
Nel pieno della polemica è comparsa un’altra app, quasi parodica nel nome: TeaOnHer. Lanciata da una piccola società chiamata Newville Media, ha ribaltato il concetto, dando agli uomini la possibilità di recensire le donne. Il testo di presentazione sull’App Store era una copia quasi identica a quello di Tea, ma la logica si è rivelata altrettanto tossica.
In poche settimane TeaOnHer ha raggiunto 53.000 iscritti, ma le indagini di TechCrunch hanno messo in luce falle di sicurezza clamorose: documenti d’identità e selfie delle utenti accessibili con un semplice link, indirizzi email esposti, persino credenziali amministrative lasciate in chiaro sul server. L’app, che doveva bilanciare la presunta parzialità di Tea, si è rivelata una caricatura pericolosa, alimentando ancora di più il clima di sospetto e vendetta reciproca.
Tra sicurezza e sorveglianza, il confine sottile delle relazioni digitali
Il confronto tra Tea e TeaOnHer racconta meno di due applicazioni e più di un’epoca segnata da sfiducia e controllo. Entrambe le piattaforme si muovono in un territorio legale ambiguo, sospese tra privacy, diffamazione e diritto all’immagine. Ma soprattutto pongono una questione culturale: la promessa di protezione rischia di coincidere con la schedatura permanente dell’altro, trasformando l’anonimato da scudo a possibile arma.
Il vero “tea”, termine slang che significa pettegolezzo succoso, non è forse nelle recensioni sugli ex, ma nella consapevolezza che il bisogno di sicurezza negli incontri stia ormai abbandonando i canali tradizionali di mediazione sociale per rifugiarsi in piattaforme che raccolgono informazioni personali senza filtri. Così, ciò che nasce come difesa diventa parte di un immaginario di sospetto costante, dove la fiducia privata lascia spazio a una sorveglianza collettiva che rischia di trasformare ogni relazione in potenziale minaccia.






