Il conflitto a Gaza non solo ha sconvolto il Medio Oriente, massacrando il popolo palestinese e costringendo gli attori della regione a schierarsi, ma ha anche avuto un effetto importante sugli equilibri economici globali. In particolare, il settore statunitense della difesa ha visto aumentare in modo significativo la propria attività, beneficiando della crescente domanda di armamenti da parte di Israele.
Un’inchiesta del Wall Street Journal approfondisce il fenomeno, evidenziando come colossi come Boeing, Northrop Grumman e Caterpillar abbiano ottenuto guadagni consistenti negli ultimi due anni e mezzo di guerra a Gaza, sostenuti da ingenti finanziamenti pubblici statunitensi.
Chi trae maggior beneficio dal conflitto a Gaza
È ormai noto che la guerra a Gaza abbia rappresentato una vera opportunità di profitto per l’industria bellica. Le vendite di armi statunitensi a Israele hanno subito un’impennata a partire dall’ottobre 2023: Washington ha infatti dato il via libera a nuovi pacchetti di forniture per un valore superiore ai 32 miliardi di dollari, come indicato dal Dipartimento di Stato, che si aggiungono ai 38 miliardi in dieci anni stabiliti da Barack Obama nel 2016.
Tra le imprese che hanno beneficiato maggiormente di questo scenario spicca Boeing. L’azienda ha recentemente siglato con Israele un accordo per la vendita di caccia F-15 dal valore complessivo di 18,8 miliardi di dollari, con consegne previste dal 2029. Si tratta di un investimento ben superiore ai 10 miliardi di dollari che Israele aveva inizialmente destinato all’aggiornamento della propria flotta nel 2018. Dopo un periodo segnato dalle difficoltà della pandemia, dalle interruzioni nelle catene di approvvigionamento e dagli scioperi, questo contratto ha rappresentato una vera svolta per l’azienda. Come riportato nella relazione finanziaria 2024, Boeing ha spiegato che la divisione difesa ha beneficiato di una domanda particolarmente solida, alimentata dalle priorità dei governi su sicurezza, tecnologia militare e cooperazione internazionale, specialmente in un contesto caratterizzato da minacce in rapida evoluzione.
Le altre aziende coinvolte
Oltre a Boeing, anche altre grandi società della difesa statunitense hanno visto aumentare i propri ricavi grazie alle forniture destinate a Israele. Northrop Grumman ha fornito componenti di ricambio per i caccia; Lockheed Martin si è occupata di missili di precisione ad alta potenza; mentre General Dynamics ha fornito i proiettili da 120 mm utilizzati dai carri armati Merkava.
I veicoli corazzati Eitan, ampiamente impiegati nei combattimenti a Gaza, sono dotati di scafi prodotti dalla Oshkosh, azienda del Wisconsin che ha evidenziato come gli ordini israeliani abbiano permesso di mantenere attiva una linea di produzione che sarebbe altrimenti stata chiusa un anno fa. Tali veicoli sono equipaggiati anche con motori realizzati dalla Rolls-Royce nel Michigan, lo Stato americano con la più ampia comunità araba. Parallelamente, Caterpillar ha registrato un incremento significativo nelle vendite dei bulldozer corazzati D9, impiegati per sgomberare macerie e demolire edifici e infrastrutture.
Questi profitti, tuttavia, non hanno incontrato sempre il favore degli investitori. Tre fondi norvegesi hanno deciso lo scorso anno di disinvestire da Oshkosh, Palantir Technologies, Caterpillar e Thyssenkrupp, proprio per l’impiego dei loro prodotti a Gaza. A ottobre, anche il più grande fondo pensione olandese, ABP, ha scelto di vendere la sua partecipazione da 387 milioni di euro in Caterpillar, motivando la decisione con ragioni etiche.
Il ruolo dei contribuenti americani
L’aumento delle forniture di armi è stato sostenuto in larga parte dai contribuenti statunitensi. Israele riceveva già 3,3 miliardi di dollari all’anno in aiuti militari, ma la cifra è più che raddoppiata nell’ultimo anno, arrivando a 6,8 miliardi. Secondo una rivelazione di Axios, in vista della scadenza del Memorandum d’intesa firmato da Barack Obama nel 2016, Israele starebbe spingendo per negoziare un nuovo accordo che non solo incrementi gli aiuti, ma estenda anche la loro durata da 10 a 20 anni, con l’obiettivo di arrivare al centenario dell’indipendenza israeliana nel 2048.
Tuttavia, l’approvazione di un simile memorandum appare complessa: il dissenso nei confronti delle politiche israeliane sta crescendo anche all’interno dell’elettorato repubblicano più vicino a Donald Trump. Probabilmente anche per questo motivo il premier Benjamin Netanyahu ha voluto smentire tali indiscrezioni, affermando che l’intenzione del Paese è quella di ridurre la dipendenza dagli aiuti stranieri e potenziare la propria industria della difesa. Ciò nonostante, è evidente che gli interessi economici e politici in gioco continuano a essere enormi..






