La riforma che introduce la separazione delle carriere dei magistrati ha ottenuto l’approvazione definitiva al Senato il 30 ottobre 2025, tra le contestazioni delle opposizioni. Il disegno di legge costituzionale ha raccolto 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni, completando così il quarto e ultimo passaggio previsto dalla Costituzione. Tuttavia, la mancata maggioranza dei due terzi alla Camera renderà necessario il referendum confermativo, previsto con ogni probabilità per la primavera del 2026. La maggioranza ha già avviato le procedure per la consultazione popolare, che rappresenterà l’ultimo passo verso l’entrata in vigore della riforma.
Le parole del ministro Nordio sulla separazione delle carriere
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, da anni sostenitore della separazione delle carriere, ha ringraziato il Parlamento, auspicando che il futuro dibattito referendario mantenga toni moderati e non si trasformi in uno scontro politico. La riforma interviene sull’articolo 104 della Costituzione, introducendo una distinzione formale tra magistratura giudicante e requirente. L’attuale Consiglio superiore della magistratura sarà sostituito da due organi distinti: uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri. Entrambi resteranno presieduti dal Presidente della Repubblica e includeranno di diritto rispettivamente il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione.
Come saranno composti i nuovi Csm
I nuovi Consigli superiori della magistratura saranno formati per un terzo da membri laici e per due terzi da magistrati. Nessuno di essi sarà eletto: i membri laici saranno estratti a sorte da un elenco di giuristi selezionato dal Parlamento, mentre i togati saranno sorteggiati tra i magistrati aventi i requisiti stabiliti da una legge ordinaria. I componenti resteranno in carica quattro anni e non potranno essere rieletti. Le loro competenze riguarderanno assunzioni, trasferimenti, valutazioni di professionalità e assegnazioni di funzioni, ma non le sanzioni disciplinari, che saranno di competenza di un nuovo organo.
L’Alta Corte disciplinare e le novità nel sistema giudiziario
La funzione disciplinare sarà affidata all’Alta Corte disciplinare, un nuovo organismo composto da 15 membri, la maggioranza dei quali magistrati, ma con un presidente scelto tra i laici. Tre saranno nominati dal Presidente della Repubblica, altri tre estratti da un elenco di giuristi predisposto dal Parlamento, mentre i restanti nove saranno selezionati tra magistrati giudicanti e requirenti con almeno vent’anni di esperienza. Le sentenze saranno impugnabili solo davanti alla stessa Corte in diversa composizione, senza la possibilità di ricorrere in Cassazione. Una legge ordinaria dovrà stabilire le norme di funzionamento e le sanzioni disciplinari.
Le tempistiche e il percorso verso il referendum sulla separazione delle carriere
La riforma prevede che entro un anno dall’entrata in vigore — successiva all’esito referendario — vengano approvate le leggi attuative. Secondo l’articolo 138 della Costituzione, il referendum potrà essere richiesto entro tre mesi dalla pubblicazione della legge costituzionale da almeno un quinto dei parlamentari, 500mila elettori o cinque Consigli regionali. Trattandosi di una consultazione confermativa, non sarà necessario il raggiungimento di un quorum.
Le reazioni delle opposizioni
Le opposizioni hanno duramente criticato il provvedimento. La segretaria del Pd, Elly Schlein, ha accusato la maggioranza di voler imporre una “giustizia dei potenti”, lamentando l’assenza di dialogo tra i gruppi parlamentari.

Anche il Movimento 5 Stelle ha annunciato la mobilitazione per il “no”, come spiegato dal deputato Alfonso Colucci, che ha promesso battaglia nelle piazze e nelle università. Analoghe le parole di Elisabetta Piccolotti (Avs), che ha accusato il governo di voler stravolgere l’equilibrio costituzionale.
Le parole di Marina Berlusconi e la replica dell’Anm
A pochi giorni dal voto, Marina Berlusconi aveva definito la riforma “un passo avanti verso una giustizia veramente giusta”, ricordando come suo padre, Silvio Berlusconi, avesse pagato un prezzo altissimo a causa di un sistema “avvelenato da accuse infondate”. L’Associazione nazionale magistrati ha reagito duramente, per voce del suo presidente Cesare Parodi, sostenendo che chi parla di giustizia politicizzata dimentica che i processi si sono conclusi con sentenze definitive. Dopo l’approvazione della riforma, Marina Berlusconi ha definito il risultato “una vittoria tardiva ma storica”, attribuendola all’eredità morale del padre.
Il fronte del “no” alla separazione delle carriere
Il fronte contrario alla riforma è composto da tutte le opposizioni parlamentari e da gran parte della magistratura. Per Giuseppe Conte, il progetto rappresenta il tentativo del governo di piegare la giustizia alla politica. L’Anm ha ribadito di voler difendere l’indipendenza delle toghe e i principi costituzionali, mentre il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, ha denunciato il rischio di “normalizzare la magistratura” trasformandola in un apparato burocratico.
I sostenitori della riforma e il tema dell’imparzialità
Chi sostiene la separazione delle carriere ritiene invece che essa garantisca maggiore imparzialità, rafforzando il ruolo del “giudice terzo” e riequilibrando il rapporto tra accusa e difesa. Secondo questa visione, la vicinanza professionale tra giudici e pubblici ministeri avrebbe finora compromesso la percezione di neutralità dei processi.
Le funzioni già separate e le critiche degli esperti
Molti giuristi hanno ricordato che la distinzione tra funzioni requirenti e giudicanti esiste già, seppur non formalmente. La riforma Castelli e, più recentemente, la riforma Cartabia, hanno imposto vincoli stringenti ai passaggi da un ruolo all’altro. I dati forniti dalla prima presidente della Cassazione, Margherita Cassano, mostrano che meno dell’1% dei magistrati ha cambiato funzione negli ultimi anni. Per il costituzionalista Gaetano Azzariti, la separazione è quindi già una realtà di fatto.
Il dibattito tra accademia e magistratura
Alcuni studiosi, come Mitja Gialuz e Piergiorgio Morosini, hanno sottolineato che la logica della riforma porterebbe a separare non solo le carriere di giudici e pm, ma anche quelle dei magistrati di primo e secondo grado. Inoltre, i dati sui processi dimostrano che le decisioni dei giudici non coincidono sempre con le richieste dei pubblici ministeri, a conferma della loro autonomia di giudizio. Per molti esperti, dunque, la riforma ha un valore soprattutto simbolico, ma rischia di alterare equilibri istituzionali consolidati.
Per approfondire: Approvata la riforma della giustizia. In primavera ci sarà un referendum sulla separazione delle carriere





