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Inchiesta sui “cecchini del weekend” italiani: pagavano per sparare ai bambini a Sarajevo

La Procura indaga su cittadini italiani accusati di aver partecipato a “safari di morte” durante l’assedio di Sarajevo, tra testimonianze e documenti inquietanti

by Marco Andreoli
11 Novembre 2025
Inchiesta sui "cecchini del weekend" italiani: pagavano per sparare ai bambini a Sarajevo

Inchiesta sui "cecchini del weekend" italiani: pagavano per sparare ai bambini a Sarajevo

Milano, 11 novembre 2025 – La Procura di Milano ha aperto un’inchiesta per omicidio volontario plurimo aggravato da motivi abietti e crudeltà riguardante un episodio drammatico della guerra in Bosnia negli anni Novanta. Al centro dell’indagine ci sono i cosiddetti “cecchini del weekend”, cittadini italiani che, secondo le accuse, avrebbero pagato per partecipare all’assedio di Sarajevo sparando contro civili, uomini, donne e bambini, per “divertimento”.

L’inchiesta sui “cecchini del weekend” a Sarajevo

L’indagine, nata da un esposto dello scrittore milanese Ezio Gavazzeni, con la collaborazione degli avvocati Nicola Brigida e Guido Salvini – quest’ultimo ex giudice – mira a fare luce su queste presunte attività criminali di cittadini italiani che si sarebbero uniti ai paramilitari serbo-bosniaci per un “turismo della morte”. L’esposto include documenti e testimonianze raccolte dallo scrittore, il quale ha dialogato con una fonte interna all’intelligence bosniaca, che ha riferito come già alla fine del 1993 fosse nota la presenza di almeno cinque italiani sulle colline intorno a Sarajevo, impegnati in attività di tiro contro la popolazione civile.

Il fascicolo è attualmente affidato al pm Alessandro Gobbis, con la collaborazione del Ros dei Carabinieri, che ha già acquisito atti dal Tribunale penale internazionale dell’Aia relativi ai crimini di guerra e contro l’umanità commessi durante l’assedio di Sarajevo tra il 1992 e il 1996, dove persero la vita oltre 11.000 persone.

Testimonianze e documenti: un quadro inquietante

Il fenomeno dei “cecchini del weekend” di Sarajevo non è del tutto nuovo: già durante il processo a Ratko Mladic, comandante dell’esercito serbo-bosniaco, vennero citati “tiratori turistici”. John Jordan, ex vigile del fuoco statunitense e volontario a Sarajevo, testimoniò nel 2007 di aver visto persone armate, vestite in modo non locale, guidate da paramilitari, che sparavano dalla cima di edifici con armi inadatte al combattimento urbano ma più simili a quelle da caccia.

L’esposto di Gavazzeni riporta inoltre uno scambio di mail del 2024 con una fonte dell’intelligence bosniaca che conferma come l’allora servizio di sicurezza militare bosniaco avesse raccolto prove sull’arrivo di stranieri, tra cui almeno tre italiani, che viaggiavano da Belgrado alla Bosnia per partecipare a questi “safari di morte”. Questi italiani, secondo le informazioni, provenivano da Torino, Milano e Trieste; il cittadino milanese sarebbe stato proprietario di una clinica privata specializzata in interventi estetici.

Sarajevo dopo l’assedio0 / Wikicommons @Hedwig Klawuttke

Il ruolo del Sismi e le “soffiate” sull’organizzazione

Secondo quanto riporta Gavazzeni, il Sismi (oggi Aisi) sarebbe stato informato nel 1994 della partenza di questi gruppi da Trieste e avrebbe tempestivamente interrotto queste spedizioni. Tuttavia, gli archivi bosniaci relativi alla vicenda sono ancora secretati e non accessibili, mentre mancano conferme ufficiali su eventuali arresti o procedimenti giudiziari di quegli anni.

L’esposto fa emergere dettagli agghiaccianti sul “tariffario” per i bersagli: i bambini avevano un costo più alto, seguivano gli uomini (preferibilmente in divisa e armati), poi le donne, mentre gli anziani potevano essere uccisi gratuitamente. Il documentario del 2022 Sarajevo Safari, diretto da Miran Zupanic, supporta queste ricostruzioni, mostrando testimonianze anonime e riferimenti a stranieri provenienti da Stati Uniti, Canada, Russia e Italia, disposti a pagare per “giocare alla guerra”.

I “clienti” di questo macabro mercato erano persone facoltose, appassionate di caccia e armi, spesso con inclinazioni verso l’estrema destra. La copertura ufficiale delle spedizioni era quella di attività venatorie, che permetteva di muoversi senza destare sospetti. Secondo l’intelligence bosniaca, dietro questi viaggi si celava il coinvolgimento del servizio di sicurezza statale serbo, con infrastrutture logistiche gestite dall’ex compagnia aerea serba di charter Aviogenex. Jovica Stanišić, condannato per crimini di guerra, è stato indicato come una figura chiave nell’organizzazione.

Cecchini italiani a Sarajevo: una storia già emersa

L’ex sindaca di Sarajevo, Benjamina Karić ha preso posizione pubblicamente sull’inchiesta. Nel 2022 aveva già presentato una denuncia penale contro persone non identificate coinvolte in questi fatti; successivamente ha trasmesso una denuncia analoga alla Procura di Milano tramite l’Ambasciata d’Italia a Sarajevo. Karić ha dichiarato di essere disponibile a testimoniare e ha sottolineato l’impegno di un gruppo di persone determinate a evitare che questa vicenda venga dimenticata.

Il caso dei “cecchini del weekend” era stato affrontato anche nel libro I bastardi di Sarajevo (2014), scritto dal giornalista e scrittore Luca Leone, che ha approfondito a lungo le dinamiche del conflitto bosniaco. Leone ha raccontato come, già durante l’assedio, giornalisti e cittadini locali fossero a conoscenza dell’esistenza di stranieri che pagavano per sparare ai civili, con un sistema organizzato che garantiva impunità e fuga sicura. Nel libro si descrive la distorsione di una passione per la caccia trasformata in un “pacchetto turistico” per uccidere esseri umani, con la complicità dei paramilitari, tra cui il noto killer Snajper.

Tags: Bosnia ErzegovinaJugoslaviaProcuraSarajevo

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