Un tavolo di avvocati, alcuni fogli controfirmati e la sensazione — tangibile nelle stanze legali della Silicon Valley — che qualcosa sia cambiato nel modo in cui si governa l’intelligenza artificiale. Dopo mesi di confronti e revisioni contrattuali, OpenAI ha riorganizzato la propria struttura legale trasformandosi in una realtà che combina scopi commerciali e impegni di interesse pubblico. È una mossa che ridefinisce i rapporti con partner storici e apre scenari nuovi per lo sviluppo tecnologico.
Una nuova architettura societaria
La ristrutturazione ha dato vita a OpenAI Group PBC, una public benefit corporation che affianca la OpenAI Foundation, l’ente non profit chiamato a mantenere un ruolo di controllo e orientamento. Questo assetto nasce dopo interlocuzioni con gli uffici degli Attorney General della California e del Delaware e autorizza OpenAI a operare con modelli di business a scopo di lucro senza rinunciare a obiettivi dichiarati di utilità pubblica. La fondazione detiene una partecipazione valutata intorno a 130 miliardi di dollari e ha annunciato un piano da 25 miliardi destinato a iniziative in ambito sanitario, ricerca sulle malattie e resilienza dell’intelligenza artificiale.
Il nuovo quadro introduce anche meccanismi di governance più definiti: è prevista la creazione di commissioni indipendenti per verificare tappe critiche nello sviluppo tecnologico, incluso il raggiungimento di una AGI (intelligenza artificiale generale). Questo sistema di verifica dovrebbe chiarire responsabilità e tempistiche, riducendo zone d’ombra che in passato avevano alimentato controversie legali e preoccupazioni regulatorie. Un dettaglio che molti sottovalutano è come questa formula ibrida possa incidere sulla libertà di ricerca: la presenza della fondazione come azionista chiave funge da freno, ma non elimina le pressioni di mercato.
Nel complesso, la struttura porta con sé una tensione tra la necessità di attrarre capitali e l’impegno a uno sviluppo percepito come responsabile. Chi osserva il settore lo nota nelle scelte di compensazione, nelle politiche di accesso ai modelli e nelle strategie di collaborazione internazionale: sono scelte che influenzano non solo gli sviluppatori, ma anche le istituzioni pubbliche e i settori che useranno queste tecnologie nella vita quotidiana.

Apertura al mercato e nuovi equilibri con Microsoft
Accanto al riassetto societario, l’intesa con Microsoft è stata rinegoziata: la quota del gigante di Redmond passa dal 32,5% al 27% della nuova entità, una partecipazione stimata in circa 135 miliardi di dollari. In cambio, Microsoft ottiene diritti d’uso e tutele più chiare sui modelli di OpenAI, con disposizioni che regolano l’uso delle tecnologie fino al 2032 e diritti di proprietà intellettuale in funzione fino al 2030 o fino a una dichiarazione formale di AGI, a seconda dell’evento che si verifichi prima.
Questo accordo introduce una novità: OpenAI potrà collaborare con altri partner tecnologici e non sarà più vincolata all’uso esclusivo di Azure come fornitore di calcolo. Allo stesso tempo è previsto un massiccio impegno di spesa su cloud Microsoft, valutato in centinaia di miliardi, che mantiene forti legami commerciali tra le aziende. Un fenomeno che in molti notano solo nelle analisi di settore è come questi impegni di fornitura influenzino la concorrenza nei servizi cloud su scala globale.
Infine, il nuovo quadro accende la competizione sull’AGI: Microsoft potrà sviluppare sistemi di intelligenza generale anche con terze parti, collocando i due attori su un terreno di collaborazione e rivalità allo stesso tempo. Questo trasforma la corsa tecnologica in un mercato dove asset, diritti e garanzie di sicurezza diventano leve decisive. Per chi lavora nel settore, la trasformazione segna l’avvio di una fase in cui la governance e i vincoli contrattuali conteranno tanto quanto l’innovazione tecnica; per il pubblico, rimane la necessità di monitorare come queste scelte influiranno su prodotti, servizi e politiche pubbliche.






