Pierfrancesco Favino: “Sono una scimmia. Un tempo ero totalmente inaffidabile, altro che perfettino… ho un botto di dubbi”
Nell'intervista rilasciata al BSMT di Gianluca Gazzoli, l'attore romano ha parlato del suo nuovo film in uscita nelle sale "Il Maestro", del suo vissuto e della sua preparazione per il cinema
Ospite del BSMT condotto da Gianluca Gazzoli, Pierfrancesco Favino ha parlato principalmente del nuovo film dell’attore romano, “Il Maestro”, in cui l’attore interpreta Raul Gatti, un ex tennista problematico, affrontando come la storia si concentri su un viaggio di vita e non solo sullo sport. L’attore riflette sul suo approccio al mestiere, inclusa la preparazione fisica per i ruoli, e sulla difficile relazione tra l’arte e il mercato del cinema, criticando come il valore di un film sia spesso quantificato solo dal successo al botteghino. Favino esprime anche una crescente riluttanza a rilasciare interviste, temendo che le sue parole vengano manipolate o estrapolate dal contesto, preferendo un approccio basato sul dialogo e sul dubbio, anziché sull’affermazione di certezze assolute.
Pierfrancesco Favino e la preparazione per i vari ruoli
L’intervista a Pierfrancesco Favino, in occasione del suo ritorno al BSMT, tocca una vasta gamma di temi che spaziano dal mestiere dell’attore e la costruzione dei personaggi, fino a riflessioni profonde sul ruolo del cinema nella società, la genitorialità e la comunicazione nell’era digitale.
Uno dei temi centrali è la preparazione e l’immersione nel personaggio, specialmente in relazione al film Il Maestro. Favino sottolinea quanto sia cruciale il lavoro sul corpo, non come mera trasformazione fisica, ma come strumento per l’immedesimazione. Egli descrive come questo processo lo aiuti a respirare diversamente e ad essere percepito in un modo nuovo.
“Trovo che questo lavoro sul corpo sia qualche cosa che mi parla piano piano e che mi fa entrare in in una vita che è un po’ diversa dalla mia”.
L’attore si definisce spontaneamente “una scimmia” in riferimento alla sua capacità di imitare e adattarsi, vedendo questa tendenza come la sua “forma di adattamento alla realtà“.
L’interpretazione di Raul Gatti, l’ex tennista problematico de Il Maestro, ha permesso a Favino di svelare aspetti di sé che raramente aveva messo in scena. Favino confessa di non essere l’immagine del “Perfettino” che spesso gli viene attribuita.
“C’è un po’ sta immagine di Pierfrancesco Favino Perfettino che è un po’ una rottura di palle perché di fondo io non lo sono. Sono molto più simile nelle mie imperfezioni a Raul Gatti, solo che poi quando devi fare l’eroe tout court non è che proprio ti nutri di questa tua imperfezione. Invece in questo caso c’è tutta la mia indecisione, c’è tutto il mio essere anche inaffidabile. Io sono un essere umano con mille difficoltà, mille dubbi perenni”.
Favino si è rivisto nel personaggio di Raul Gatti anche in relazione al suo passato: “Io per tanto tempo sono stata una persona assolutamente inaffidabile“, non preoccupata del futuro e sempre in viaggio fino ai trent’anni. Il mestiere dell’attore, per lui, offre la possibilità di sperimentare che “ogni volta devi affrontare la vita di qualcun altro e capire che poi come in potenza ognuno di noi può essere tutto“.
Pierfrancesco Favino e Gianluca Gazzoli | Instagram – @bsmt-basement
Il rapporto con il fallimento e la resilienza
Un tema correlato è quello del fallimento e della resilienza. L’attore ha affrontato molteplici “microfallimenti“, specialmente all’inizio della sua carriera, ma ha imparato a non “incolpare gli altri per i miei fallimenti“. Il fallimento, spesso temuto in una società ossessionata dalla performance, è un elemento necessario di crescita.
“Metti sempre in discussione tutto, però poi da qualche parte con la tigna, con il desiderio, con il sogno, ti rialzi e cerchi di essere in forma per l’occasione successiva”.
Pierfrancesco Favino | ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Maestro e genitorialità
L’intervista dedica ampio spazio alla figura del Maestro e alla genitorialità. Favino definisce un maestro come colui che ti aiuta a capire una parte di te “senza importi il desiderio di assomigliare a ciò che lui si aspetta“.
Riflettendo sulla sua infanzia, ambientata negli anni in cui si svolge Il Maestro (1989), Favino ricorda un’epoca di maggiore libertà.
“Io ho vissuto quell’infanzia lì, ho vissuto l’infanzia di ‘ciao mamma, esco e poi boh’. Quella cosa lì mi ha responsabilizzato molto di più che non invece ‘dove sei, che fai, fammi vedere il voto che hai preso‘, quelle cose lì”.
Da genitore, cerca di replicare questa libertà. Parlando del momento in cui si è allontanato da casa, sottolinea come sia un dovere del genitore permettere ai figli di andare per la loro strada: “è un mio dovere consentir loro col sorriso sulle labbra di prendere le loro decisioni e di spalle vederli andar via senza far vedere loro quello che io quello a cui io sto rinunciando“. Un momento particolarmente toccante riguarda il suo rapporto con il padre, che, dopo essere diventato cieco, trovò il coraggio di esprimere i suoi sentimenti: “nel momento in cui non vedeva più, finalmente… riusciva ad aprirsi, riusciva a dire cose che fino a quel momento non riusciva ad esprimere“.
Pierfrancesco Favino e il sistema cinema in Italia
Infine, l’attore riflette sul sistema cinema e sulla cultura mediatica attuale. Favino esprime forte critica verso la tendenza a valutare i film solo in base agli incassi, ignorando il valore emotivo e culturale dell’arte.
“Le emozioni hanno un valore. Hanno un valore nel nostro benessere, hanno un valore nel farci attraversare momenti complicati, hanno un valore perché ci riconnettono con noi stessi. Il valore di una pellicola si basa su quanto ha incassato e basta, perché certe volte gli investimenti si fanno anche per rappresentare se stessi”.
Lamenta la semplificazione del dibattito e la narrazione negativa contro il cinema italiano. La sua riluttanza a rilasciare interviste deriva dalla paura della manipolazione e della decontestualizzazione delle sue parole.
“Sì, perché mi fa paura che adesso questo pezzettino che noi abbiamo fatto, domani venga ridotto da un francobollo da qualche parte e che domani qualcuno potrà manipolarlo come vuole, probabilmente questa cosa avverrà. Se dici una cosa, quella cosa lì è immediatamente soggetta a essere attaccata con una violenza che non ha a che fare con quello in cui io credo fortemente che invece è il dialogo“.
Favino conclude ribadendo che desidera il dialogo e la possibilità di cambiare idea, in contrasto con la società attuale, dove “tutti abbiano tutte tante certezze. Io non ce l’ho“. Sottolinea l’importanza di difendere il cinema come esperienza collettiva e analogica: “il fatto che tu la vivi fisicamente insieme a qualcun altro non può accadere perché il respiro della persona che hai a fianco ti cambia, ti condiziona“.
Queste riflessioni sottolineano come Favino, pur essendo un attore di successo, mantenga un profondo legame con la realtà umana e la difesa del valore culturale dell’arte in un mondo sempre più frammentato e orientato al risultato immediato.