Il celebre autore di Breaking Bad, pluripremiata serie con Bryan Cranston protagonista, torna con “Pluribus“: la felicità diventerà il virus del nuovo mondo.
Pluribus, la nuova serie di Vince Gilligan
Non servono legioni di servitori per sentirsi una regina. Carol Sturka lo è senza volerlo. Basta che chieda e ogni suo desiderio viene esaudito all’istante. Colazione servita a letto, spesa pronta nei supermercati tornati miracolosamente pieni dopo il Grande Contagio, sorrisi e promesse di aiuto da parte di chiunque incontri. Tutti la venerano, ma quell’attenzione senza limiti ha un retrogusto sinistro: dietro la gentilezza si nasconde l’adulazione, un mondo che serve solo a blandirla.
Il suo regno è un hotel a sette stelle, un universo sterilizzato dove l’umanità sembra aver rinunciato a ogni conflitto. Alla Casa Bianca rispondono solo per lei, e un aereo è sempre pronto a portarla ovunque desideri. Ma la felicità generale che la circonda è artificiale: merito – o colpa – di un virus alieno, annunciato da un messaggio intergalattico, che ha cancellato cattiveria, pregiudizi e violenza. Tutti sono diventati buoni. Tutti tranne pochi non contagiati, tra cui Carol, protagonista di Pluribus, la nuova serie creata da Vince Gilligan, il leggendario autore di Breaking Bad e Better Call Saul.

Vince Gilligan e l’idea nata prima del virus e dell’intelligenza artificiale
Guardando i primi episodi della serie, il parallelo con la pandemia di Covid o con l’ascesa dell’intelligenza artificiale viene spontaneo. Ma Gilligan sorprende: “L’idea mi è venuta almeno otto o dieci anni fa, quando né l’una né l’altra esistevano ancora“, spiega. “Durante il Covid pensavo: adesso tutti crederanno che parlo di questo, ma non c’entra nulla. E poi è arrivata l’Ia, che è diventata quasi realtà. Non so quanta intelligenza ci sia davvero, ma è un ottimo argomento da salotto. Sarà il pubblico a decidere di cosa parla davvero Pluribus“.
La felicità come ossessione e come trappola
Gilligan aveva sintetizzato Breaking Bad con una formula perfetta: “Da Mr. Chips a Scarface“. Per Pluribus, dice: “La persona più infelice della Terra cerca di salvare il mondo dalla felicità“. Eppure Carol, scrittrice di bestseller fantasy, non appare poi così disperata.
“Ho quasi sessant’anni e penso alla felicità più di quanto dovrei“, confessa Gilligan.
“Non sono una persona felice. Inseguiamo la felicità per tutta la vita, ma più invecchio più mi chiedo: è davvero così importante? Conosco persone felici e non capisco perché lo siano. E ne conosco altre, ricche e di successo, profondamente infelici. Forse la felicità è solo chimica cerebrale. Ma credo che siano gli infelici a far girare il mondo: se sei felice ti accontenti, se sei infelice cerchi di cambiare le cose. Da lì nascono le invenzioni, le rivoluzioni, i progressi. Pluribus nasce probabilmente da questa riflessione”.
Carol Sturka: l’eroina che non crede in sé stessa
Nel primo episodio, Carol firma copie del suo romanzo, ma appare distante dai fan, quasi sprezzante. “Forse c’è un po’ di me in lei“, ammette Gilligan. “Gli scrittori sono ansiosi, nevrotici, spesso infelici. Carol tratta male i suoi lettori, ma credo che lo faccia per paura di perderli. È come Groucho Marx che non voleva far parte di un club che l’avrebbe accettato come socio. Carol non è certa del valore dei suoi libri e li sminuisce prima che lo facciano gli altri“.
Un autore tra modestia e controllo totale
Gilligan, pur essendo il creatore assoluto dei suoi personaggi, parla con cautela: riempie i discorsi di “penso” e “forse”, come se non volesse imporsi. È una doppiezza che lo accompagna da sempre. Nato a Richmond, in Virginia, come Tom Wolfe, è un autore riservato, prudente, eppure avventuroso nella vita: pilota di elicottero e paracadutista. “È più facile buttarsi da un aereo che parlare con uno sconosciuto“, ha dichiarato una volta.
Il titolo Pluribus rimanda a E pluribus unum, il motto americano: “Da molti, uno solo”. Nella serie, quel motto si rovescia. Carol vive tra “molti” che pensano e sentono esattamente allo stesso modo, un’umanità uniformata nella bontà assoluta.
Un antidoto di finzione in un mondo diviso
Un mondo iper-gentile può sembrare un sogno. “Vorrei che la gente ne discutessero dopo aver visto la serie“, dice Gilligan.
“Pluribus parte come uno show post-apocalittico, ma non è come The Walking Dead: lì sai che non vuoi diventare uno zombie, qui potresti chiederti se non sarebbe bello essere contagiato. Oggi gli Stati Uniti sono divisi a metà, ma nessuno vuole davvero una guerra civile. Mi piace pensare che Pluribus sia un antidoto, un invito a immaginare che potremmo essere un po’ più gentili“.
Da Albuquerque con amore
Pur diversa da Breaking Bad e Better Call Saul, Pluribus condivide con loro la città simbolo di Gilligan: Albuquerque. “L’ho scelta perché amo la mia troupe“, racconta. “Lavoriamo insieme da vent’anni, ci capiamo al volo. Sono come una famiglia“.
E al centro c’è Rhea Seehorn, già Kim Wexler in Better Call Saul, ora nei panni di Carol Sturka: “È la nostra arma segreta, la ragione principale per guardare la serie“.
Dopo vent’anni di anti-eroi, il bisogno di un’eroina
Gilligan ammette che sentiva il bisogno di scrivere finalmente di una persona buona. “Certo che esistono persone buone“, dice. “Nella vita reale sono la maggioranza, ma le cattive lasciano impronte più profonde. Dopo vent’anni passati con Walter White, Gus Fring e Saul Goodman, volevo cambiare prospettiva. Carol è un’eroina riluttante, ma cerca di salvare il mondo. Scriverla mi ha rigenerato“.
La lentezza come scelta narrativa
In Pluribus la trama si svela lentamente: solo dal quarto episodio emerge una resistenza contro i “felici”. “Sì, è un rischio“, ammette Gilligan. “Nella serie tutti amano tutto, ma nella realtà nessuno show piace a tutti. Qualcuno dirà: “Qui non ammazzano nessuno, non fa per me”. Ma non importa. È diverso da ciò che ho fatto prima, e va bene così. Alcuni resteranno delusi, altri scopriranno qualcosa di nuovo“.
Il nuovo volto di Gilligan
Come Shakespeare passò dalle commedie all’Amleto, anche Gilligan cambia tono, passando dal noir alla fantascienza. In un dialogo della serie, Carol chiede a un contagiato quanto ami i suoi libri rispetto a Shakespeare. “Uguale“, risponde lui. È l’eco ironica di un autore che, dopo aver ridefinito la tragedia televisiva, ora tenta un esperimento rischioso: raccontare un mondo dove la bontà assoluta può essere più inquietante della malvagità.
Forse Pluribus è proprio questo: una riflessione sul prezzo della felicità e sul bisogno umano, eterno, di sentirsi vivi anche tra i molti.
