New York, 20 novembre 2025 – Nelle sale italiane è arrivato The Smashing Machine, il nuovo film diretto da Benny Safdie che racconta la vita del lottatore statunitense di arti marziali miste Mark Kerr. A interpretarlo è Dwayne “The Rock” Johnson, in una delle sue prove più sorprendenti: lontano dal ruolo del duro muscoloso a cui siamo abituati, l’attore si cala nei panni di un uomo complesso, fragile e tormentato, offrendo uno spunto intimista e drammatico che ha convinto critica e pubblico alla recente Mostra del Cinema di Venezia. Il film non è solo la storia di un campione di MMA, ma un ritratto profondo di un atleta che, dietro la fama e i successi, ha combattuto anche battaglie ben più difficili.
L’ascesa di una leggenda delle MMA
Negli anni Novanta, Mark Kerr emerse come uno dei pionieri delle arti marziali miste, quando questo sport era ancora un fenomeno di nicchia e poco conosciuto al grande pubblico. La sua carriera iniziò nella lotta libera universitaria e nel vale tudo brasiliano, discipline che gli permisero di sviluppare uno stile aggressivo e brutale, fondato sulla lotta a terra e sul cosiddetto “ground and pound”: portare l’avversario al tappeto nel minor tempo possibile, colpirlo ripetutamente e costringerlo alla resa. La sua potenza e la facilità con cui sottometteva gli avversari valsero a Kerr il soprannome di “Smashing Machine”, diventando subito un punto di riferimento nel mondo dei combattimenti estremi.
Il debutto nella UFC, la lega di MMA più famosa al mondo, avvenne nel luglio del 1997, dopo tre vittorie consecutive nella vale tudo brasiliana. In pochi incontri Kerr dimostrò una superiorità schiacciante: nel 1998 conquistò la cintura dei pesi massimi sconfiggendo Dwayne Cason e pochi mesi dopo lasciò la UFC per la giapponese Pride, attratto da uno stipendio più alto e da nuove sfide. I primi sei incontri in Giappone furono vittorie consecutive, ma la vita del campione era tutt’altro che lineare: infortuni, stress e dipendenze iniziarono a minare le sue prestazioni, e negli anni successivi, pur continuando a combattere per federazioni minori, i risultati furono spesso deludenti.
Mark Kerr e il lato oscuro della gloria
Dietro la fama e il successo, la vita di Kerr era segnata da eccessi che spesso trascendevano il ring. Antidolorifici, cocaina, alcol e steroidi anabolizzanti divennero parte integrante della sua routine: la necessità di rispettare una schedule di incontri fitta e impegnativa lo costringeva a ignorare infortuni e dolori. In un’intervista al Time, Kerr ha raccontato come l’abuso di farmaci condizionasse le sue giornate e persino la relazione con la compagna Dawn Staples, interpretata nel film da Emily Blunt: “Non avevo tempo di stare fermo per tre settimane per guarire. Era una soluzione facile sul momento, ma molto complessa da gestire nel lungo termine”.

Il documentario The Smashing Machine: The Life and Times of Extreme Fighter Mark Kerr, trasmesso su HBO nel 2002, aveva già svelato al pubblico la fragilità di un campione apparentemente invincibile. Kerr fu uno dei primi atleti a parlare apertamente della dipendenza nel mondo delle MMA, offrendo un ritratto onesto e coraggioso della realtà di molti lottatori del periodo. Racconti di allenamenti estenuanti, di infortuni curati con antidolorifici e di una vita fuori dal ring segnata da comportamenti autodistruttivi hanno contribuito a creare un’immagine di Kerr più complessa rispetto al semplice stereotipo del “combattente temibile”.
Tra ring e vita privata: il contrasto di una personalità unica
Chi ha conosciuto Kerr racconta di un uomo dai due volti: dentro la gabbia era un avversario spietato e competitivo, fuori dal ring si mostrava gentile, premuroso e riflessivo. L’ex campione UFC e allenatore Bas Rutten lo ricorda così: “Era un vero animale dentro il ring e un vero gentiluomo fuori. Sapevamo che aveva grandi qualità ma che, una volta entrato nella gabbia, sarebbe semplicemente andato su tutte le furie”. John Hyams, regista del documentario HBO, aggiunge: “Non amava far del male alle persone, ma era molto bravo a farlo”.
Questo contrasto emerge anche nel film di Benny Safdie, che esplora non solo la carriera e i trionfi di Kerr, ma soprattutto le sue difficoltà personali, i momenti di debolezza e la ricerca di equilibrio in una vita segnata da eccessi. La scelta di Dwayne Johnson di interpretare un ruolo meno fisico e più emotivo valorizza questi aspetti, mostrando un atleta capace di grande forza ma anche di profonda vulnerabilità. La narrazione non glorifica la violenza, ma racconta la complessità di un uomo che ha lottato non solo per vincere sul ring, ma anche per sopravvivere a se stesso.
The Smashing Machine non è solo un film sul mondo delle MMA: è la storia di un uomo che ha conosciuto la fama e il successo, ma anche il dolore e la fragilità, un racconto che mette a nudo le contraddizioni e le sfide di una vita estrema. Kerr, con il suo talento e le sue debolezze, rimane una figura unica nel panorama degli sport da combattimento: un campione indiscusso, ma anche un uomo che ha saputo affrontare, almeno a parole e con il tempo, i propri demoni.






