Una ricorrenza che non ha solo il compito di ricordare le vittime e sostenere chi sopravvive, ma anche quello di interrogare il nostro immaginario culturale. Oggi, 25 novembre, è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Il cinema, da sempre specchio e motore della società, ha raccontato in molti modi la violenza di genere: con ritratti dolorosi, denunce sociali, storie di resistenza e narrazioni che mettono a fuoco strutture di potere spesso invisibili.
I cinque film di cui leggerete affrontano il tema da prospettive molto diverse, ma accomunate dallo stesso imperativo: non distogliere lo sguardo.

“Una donna promettente”: la vendetta come rivelazione del sistema
In Una donna promettente (2020), Emerald Fennell utilizza i codici del thriller psicologico e del black comedy per raccontare la storia di Cassie, una giovane donna segnata dall’aggressione subita dalla sua migliore amica. Il film non parla solo della violenza sessuale in sé, ma di tutto ciò che la circonda: l’omertà, la complicità sociale, l’illusione dell’“uomo per bene”. Fennell mette in scena la cultura dello stupro con una lucidità che evita moralismi e paternalismi, mostrando come la violenza non sia mai un atto isolato, bensì il risultato di un tessuto sociale che minimizza, giustifica, dimentica. La protagonista, con la sua missione ambigua e disturbante, diventa una figura di denuncia: non un’eroina tradizionale, ma un promemoria vivente delle responsabilità che tutti — amici, istituzioni, comunità — hanno nel perpetuare o contrastare la violenza sulle donne. Il film colpisce al cuore perché non chiede solo giustizia, ma memoria, coraggio e la fine del silenzio.
“L’uomo invisibile”: quando il controllo diventa terrore psicologico
Nel 2020, Leigh Whannell reinterpreta il classico di H.G. Wells trasformandolo in una riflessione tagliente sulla violenza domestica e sul gaslighting. L’uomo invisibile segue Cecilia, una donna che fugge da una relazione con un uomo ricco, brillante e profondamente manipolatore. L’idea dell’invisibilità diventa metafora perfetta: come accade troppo spesso nella realtà, la violenza psicologica è impercettibile agli occhi degli altri, difficile da dimostrare, persino da raccontare. Cecilia è perseguitata da qualcuno che nessuno vede, esattamente come molte donne che vivono relazioni abusive e si sentono isolate, screditate, non credute. Il film trasforma la paura quotidiana in un horror moderno, mostrando come la violenza di genere non sia solo fisica, ma prima di tutto un esercizio di controllo, dominazione e cancellazione dell’identità. Whannell costruisce un racconto che denuncia l’invisibilità sociale del problema e restituisce un volto riconoscibile a forme di violenza spesso sottovalutate.
“Il colore viola”: sopravvivere e rinascere
Il colore viola (1985), diretto da Steven Spielberg e tratto dal romanzo di Alice Walker, rimane una delle opere più potenti sul tema della violenza sulle donne. In particolare donne nere, povere, marginalizzate. La storia di Celie, oppressa da abusi sessuali, fisici e psicologici fin dall’infanzia, è un viaggio doloroso ma luminoso verso l’autodeterminazione. Spielberg tratteggia un sistema patriarcale rigido in cui la violenza non è un’eccezione, ma una regola culturale interiorizzata anche dalle donne stesse. Tuttavia, attraverso i legami femminili, la sorellanza e la solidarietà, Celie ritrova il proprio valore e la propria voce. È un film che parla di traumi enormi, ma anche della possibilità di spezzare la catena. La forza rivoluzionaria della dolcezza e della resilienza emerge come antidoto alla brutalità, offrendo uno sguardo complesso e ancora attualissimo.
“Millennium – Uomini che odiano le donne”: il patriarcato più feroce
Nel thriller cupo e sofisticato di David Fincher (2011), tratto dal romanzo di Stieg Larsson, la violenza contro le donne è al centro della narrazione non solo come dato di cronaca nera, ma come fenomeno sistemico. Lisbeth Salander, hacker geniale e sopravvissuta a molteplici abusi, è uno dei personaggi più emblematici del cinema contemporaneo: fragile e impenetrabile, libera e insieme intrappolata nel trauma. Uomini che odiano le donne mette in scena il patriarcato più feroce — quello che usa il potere istituzionale, economico e fisico per dominare — e la reazione altrettanto radicale di chi rifiuta di esserne vittima. Fincher non indulge nel sensazionalismo; piuttosto, costruisce un’indagine sul male che si annida dietro la rispettabilità, mostrando come la violenza sulle donne sia spesso protetta da reti di complicità maschile. Lisbeth non è una vittima passiva, ma una forza che reclama giustizia a modo suo, rifiutando di essere definita dalla violenza subita.
“C’è ancora domani”: la quotidianità dell’abuso
Il film di Paola Cortellesi (2023) ha riportato con straordinaria forza nel dibattito pubblico italiano il tema della violenza domestica, raccontato attraverso uno sguardo inusualmente dolce e insieme durissimo. Ambientato nell’Italia del dopoguerra, C’è ancora domani mostra la vita di Delia, una donna intrappolata in un matrimonio violento che la società considera normale, quasi inevitabile. Cortellesi sceglie il bianco e nero, l’ironia, il melodramma e il neorealismo per costruire una storia che parla del passato ma racconta chiaramente il presente. La violenza di Ivano, il marito, è quotidiana. Schiaffi, umiliazioni, ingiunzioni. Ed è proprio questa “normalità” a rendere il film così potente. Delia non è un’eroina, ma una donna comune che compie un atto straordinario: immaginare un futuro diverso per sé e per la figlia. La scelta di resistere e poi di ribellarsi diventa un gesto politico, un messaggio che attraversa il tempo e parla a tutte le donne che oggi cercano un domani possibile.
In questi cinque film, la violenza contro le donne non è solo rappresentata: viene analizzata, smontata, contestata. Il cinema, come spesso accade, non offre risposte semplici ma apre domande necessarie. E il 25 novembre, più che mai, abbiamo il dovere di ascoltarle.






