Sentenza definitiva per le minacce mafiose del 2008 a Roberto Saviano e Rosaria Capacchione; confermato l’impegno per la tutela della libertà di stampa in Italia.
Roma, 14 luglio 2025 – La Corte d’Appello di Roma ha confermato le condanne inflitte in primo grado nell’ambito del processo per le minacce rivolte nel 2008 al giornalista Roberto Saviano e alla giornalista Rosaria Capacchione. Il capoclan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, è stato condannato a un anno e sei mesi di carcere, mentre l’avvocato Michele Santonastaso a un anno e due mesi, per il reato di minacce aggravate dal metodo mafioso. La sentenza, emessa oggi pomeriggio dalla Prima sezione della Corte d’Appello, ha ribadito la decisione di primo grado del 24 maggio 2021.
La strategia intimidatoria del clan dei Casalesi
Le minacce risalgono al marzo 2008 durante il processo di appello Spartacus a Napoli, che coinvolgeva il clan dei Casalesi. Bidognetti e Santonastaso utilizzarono un’istanza di rimessione, un documento letto in aula dallo stesso avvocato, per veicolare un messaggio intimidatorio contro i due giornalisti, rei di raccontare le relazioni politiche e gli interessi criminali del clan. I giudici della Quarta sezione penale del Tribunale di Roma avevano sottolineato che la condotta di Bidognetti e Santonastaso faceva parte di una precisa strategia mafiosa volta a mantenere il controllo sul territorio e a rafforzare il potere della cosca.
La Federazione Nazionale della Stampa Italiana e l’Ordine dei Giornalisti della Campania si sono costituiti parte civile nel procedimento, a tutela della libertà di stampa e della sicurezza dei giornalisti impegnati nella denuncia della criminalità organizzata.
Il racconto di Roberto Saviano: una vita sotto minaccia
A distanza di 17 anni da quelle minacce, Roberto Saviano ha ricordato il lungo percorso affrontato, segnato da una vita sotto scorta e da un incessante impegno nella lotta contro le mafie. In un suo recente scritto, Saviano ha descritto l’ansia e il peso di questa vicenda, sottolineando come quella sentenza rappresenti un punto di svolta cruciale.
“La minaccia formulata quel giorno era un unicum nella giurisprudenza penale italiana”, ha spiegato Saviano, che ha raccontato il significato profondo del documento letto in aula, un vero e proprio proclama che additava i giornalisti come responsabili delle condanne inflitte ai boss. Bidognetti, pur detenuto, e il suo avvocato cercarono di riscrivere la narrazione degli eventi, accusando chi raccontava la realtà mafiosa di essere il vero pericolo per il clan.
Il giornalista ha anche espresso il dolore per la vita “tritata” da queste minacce, un’esistenza segnata dalla protezione costante e da un isolamento mediatico che ha marginalizzato l’informazione antimafia. Con chiarezza, Saviano ha esortato chi si occupa di criminalità organizzata a non affrontare da soli questo impegno, ma a fare rete per proteggersi e continuare a denunciare.
L’emozione in aula all’annuncio della sentenza è stata palpabile: un lungo applauso e le lacrime di Saviano hanno accompagnato la conferma delle condanne, simbolo della forza della parola contro il potere mafioso.





