Un fenomeno che rivoluziona le conoscenze consolidate sull’ossigeno e la vita negli abissi degli oceani è al centro di un progetto di ricerca triennale, coordinato da Andrew Sweetman della Scottish Association for Marine Science. L’osservazione di un aumento inaspettato di ossigeno a 4.000 metri di profondità nella Clarion–Clipperton Zone del Pacifico, un’area ricca di noduli polimetallici, mette in discussione il dogma secondo cui l’ossigeno è prodotto esclusivamente dalla fotosintesi.
Ossigeno non fotosintetico nei fondali degli oceani
Il team di Sweetman ha rilevato un incremento significativo di ossigeno disciolto nelle micro-camere posizionate sul sedimento oceanico, con valori che sono passati da circa 185 a oltre 800 micromoli per litro. Questo fenomeno è stato confermato anche tramite il metodo chimico di Winkler, escludendo errori strumentali o contaminazioni. I noduli polimetallici, depositi minerali presenti sul fondale, sembrano agire come “geobatterie” naturali, generando una corrente elettrica che consente la scissione dell’acqua in ossigeno e idrogeno, in completa assenza di luce e fotosintesi.

Questa scoperta, pubblicata su Nature Geoscience, ha implicazioni profonde: suggerisce l’esistenza di una fonte di ossigeno primordiale che potrebbe aver preceduto la fotosintesi, influenzando l’evoluzione della vita sulla Terra. Come sottolinea Sweetman, si tratta di un cambiamento paradigmatico nella comprensione dei processi chimici e biologici che regolano gli ecosistemi profondi.
Nuove spedizioni e controversie scientifiche
Per approfondire il fenomeno, Sweetman ha lanciato un progetto di ricerca finanziato dalla Nippon Foundation, con un budget di 2 milioni di sterline e strumenti innovativi in grado di raggiungere fino a 12.000 metri di profondità. La prima spedizione partirà da San Diego nel gennaio 2026. L’obiettivo è raccogliere dati più dettagliati sui meccanismi di produzione di questo cosiddetto “ossigeno oscuro”, analizzando campioni di acqua e sedimenti e studiando i processi microbiologici ed elettrochimici coinvolti.
Tuttavia, la scoperta ha suscitato dibattiti e critiche, soprattutto da parte di alcune aziende minerarie come The Metals Company (TMC), che mettono in dubbio la validità dei risultati, sollevando questioni metodologiche. Anche la rivista Nature Geoscience ha avviato una revisione delle critiche ricevute. Sweetman, pur difendendo la propria ricerca, ha espresso preoccupazione per il clima di ostilità, sottolineando l’importanza di una pausa nelle attività minerarie fino a quando non saranno disponibili maggiori informazioni sull’impatto ecologico dei noduli.
Impatti ambientali e prospettive future
La scoperta di una produzione di ossigeno abiotica nei fondali oceanici apre scenari inediti non solo per la biologia marina e la geochimica terrestre, ma anche per la ricerca astrobiologica. La NASA ha mostrato interesse per questo meccanismo, ipotizzando che processi analoghi potrebbero sostenere forme di vita su pianeti o lune con oceani profondi.
Nel frattempo, cresce la consapevolezza sull’importanza di tutelare questi ecosistemi ancora poco conosciuti ma vulnerabili, soprattutto davanti all’espansione delle attività estrattive minerarie in mare aperto. Come afferma il microbiologo Donato Giovannelli dell’Università Federico II di Napoli, “stiamo scoprendo nuove fonti di ossigeno che potrebbero aver avuto un ruolo cruciale nell’evoluzione della vita, ma rischiamo di perderle prima ancora di comprenderle appieno”.
