Una scoperta rivoluzionaria apre nuove strade nella lotta contro l’Alzheimer: grazie a una proteina nel sangue, i medici potrebbero prevedere la malattia con oltre un decennio di anticipo.
Negli ultimi mesi, un gruppo di ricercatori europei ha identificato un metodo sorprendente per anticipare lo sviluppo dell’Alzheimer fino a 15 anni prima della comparsa dei sintomi. La chiave sta in una proteina presente nel sangue, già analizzabile con un semplice prelievo. La notizia, che sta facendo il giro delle principali testate scientifiche internazionali, potrebbe segnare una svolta storica nella diagnosi precoce della demenza. Ma cosa hanno scoperto davvero gli scienziati? E quanto è affidabile questo nuovo metodo?
Il test che anticipa la malattia: come funziona
La protagonista di questa scoperta è la proteina p‑tau217, una versione modificata della proteina Tau, nota per il suo ruolo nella formazione delle placche amiloidi nel cervello, uno dei principali segnali della malattia di Alzheimer. Secondo gli studi condotti dall’Università di Göteborg, in collaborazione con il University College London, i livelli di questa proteina nel sangue risultano alterati fino a 15 anni prima della comparsa dei primi segnali cognitivi.

I ricercatori hanno testato centinaia di campioni di sangue provenienti da pazienti a rischio, confrontandoli con soggetti sani. I risultati hanno mostrato una precisione superiore al 95% nel prevedere chi avrebbe poi sviluppato la malattia. È un dato che lascia poco spazio ai dubbi: questa proteina potrebbe diventare lo strumento principale di diagnosi precoce in tutto il mondo.
Uno strumento semplice e non invasivo
Il grande vantaggio di questo nuovo test è la sua semplicità: a differenza delle complesse PET cerebrali o delle analisi del liquido spinale, il nuovo metodo richiede solo un normale prelievo di sangue. Questo lo rende non solo più accessibile, ma anche adatto per screening di massa tra gli over 50 o tra i soggetti geneticamente predisposti.
In alcuni Paesi europei, come il Regno Unito, il test è già stato approvato con marchio CE per supportare la diagnosi clinica precoce. In Italia, diverse strutture ospedaliere stanno valutando la sua introduzione nei protocolli, soprattutto in abbinamento a terapie sperimentali che potrebbero rallentare l’evoluzione della malattia nelle sue fasi iniziali.
Le nuove frontiere della prevenzione
Il vero impatto di questa scoperta non è solo nella diagnosi precoce, ma anche nella possibilità di intervenire prima che l’Alzheimer causi danni irreversibili. Sapere con anticipo chi è a rischio può consentire ai medici di avviare percorsi terapeutici preventivi, modificare lo stile di vita del paziente e monitorare l’evoluzione della patologia nel tempo.
Gli scienziati stanno ora lavorando per estendere la ricerca a nuove proteine correlate ad altre forme di demenza, con l’obiettivo di costruire una mappa completa del rischio cognitivo individuale. Secondo molti neurologi, entro pochi anni i test del sangue per le malattie neurodegenerative potrebbero diventare parte integrante degli esami di routine, alla pari di quelli per il colesterolo o la glicemia.






