Il rapper pugliese Caparezza ha rivelato di convivere con un acufene cronico e con una perdita dell’udito parziale. Due disturbi sempre più diffusi che colpiscono l’equilibrio sensoriale e psicologico di chi ne soffre.
Caparezza e il rumore che non si spegne mai
L’acufene è una condizione in cui si percepiscono suoni — fischi, ronzii, sibili o fruscii — in assenza di una sorgente esterna. È come avere un rumore costante nella testa o nelle orecchie, spesso descritto come un “fischio del silenzio”. Non si tratta di un suono reale, ma di un’anomalia nel modo in cui il cervello interpreta i segnali provenienti dal sistema uditivo.
Le cause possono essere molteplici: esposizione prolungata a rumori forti (come concerti, cuffie ad alto volume o ambienti lavorativi rumorosi), accumulo di cerume, infezioni dell’orecchio, problemi circolatori o perfino stress e ansia.
Nel caso di Caparezza, l’acufene è diventato un compagno costante dopo anni di concerti e musica ad alto volume. Il cantante ha raccontato di percepire un suono continuo che non lo abbandona mai, neppure nel silenzio assoluto. “È come vivere con un rumore dentro la testa”, ha spiegato in varie interviste.

Quando il mondo si affievolisce: cos’è l’ipoacusia
L’acufene spesso si accompagna a un’altra condizione: l’ipoacusia, ovvero la perdita parziale o totale della capacità uditiva. Può interessare un solo orecchio o entrambi e avere intensità variabile, dalla semplice difficoltà a percepire suoni deboli fino all’impossibilità di comprendere le parole.
L’ipoacusia può essere trasmissiva (dovuta a problemi nel condotto uditivo, nel timpano o negli ossicini dell’orecchio medio) oppure neurosensoriale, cioè legata a un danno delle cellule ciliate dell’orecchio interno o del nervo acustico. Quest’ultima forma è purtroppo irreversibile e spesso causata da traumi acustici o dall’invecchiamento del sistema uditivo.
Nel mondo della musica, dove il suono è tutto, l’ipoacusia rappresenta una minaccia reale. L’esposizione costante a volumi elevati può danneggiare in modo permanente le delicate strutture dell’orecchio interno.
Un rischio crescente nel mondo della musica
Negli ultimi anni, studi e ricerche hanno evidenziato una crescita significativa dei disturbi uditivi tra i professionisti della musica. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa un musicista su due è esposto a livelli sonori potenzialmente dannosi per l’udito.
I concerti, le sale prove e l’uso prolungato di cuffie ad alto volume possono superare facilmente i 100 decibel, una soglia che, se mantenuta per più di 15 minuti, può già danneggiare in modo irreversibile le cellule dell’orecchio interno.
Artisti di fama mondiale come Chris Martin (Coldplay), Pete Townshend (The Who), Eric Clapton e Will.i.am hanno confessato di soffrire di acufene o di ipoacusia. Molti di loro, come Caparezza, hanno dovuto modificare il modo di comporre e suonare, riducendo l’esposizione ai volumi e adottando protezioni acustiche personalizzate.
Prevenzione e convivenza: le nuove frontiere dell’ascolto
Oggi la medicina offre strumenti efficaci per gestire queste condizioni. Le terapie sonore (che mascherano il fischio con suoni neutri o naturali), le protesi acustiche digitali, gli impianti cocleari, come quelli indossati abitualmente da Caparezza, e i percorsi di counseling psicologico aiutano i pazienti a ritrovare un equilibrio.
Ma la vera sfida resta la prevenzione. Gli specialisti raccomandano di:
usare tappi acustici su misura durante i concerti o le prove,
evitare cuffie a volume alto per periodi prolungati,
concedere all’orecchio pause regolari dal rumore,
e sottoporsi a controlli audiometrici periodici.
Il silenzio, troppo spesso trascurato, è parte integrante della musica. Caparezza lo sa bene: dietro il frastuono del successo, ha imparato ad ascoltare anche il suono del proprio corpo. E il suo racconto ricorda a tutti — musicisti e non — che prendersi cura dell’udito significa proteggere il proprio modo di stare al mondo.






