Senigallia, 16 settembre 2025 – Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, ha scritto su Repubblica un articolo in cui ha parlato della Spice, una droga che circola su TikTok e che viene presentata – a torto – come una versione leggera della cannabis. Ma lo Spice con la cannabis non ha niente a che fare: è tutt’altro che naturale.
La droga che circola su TikTok: ecco “Spice”
Si tratta di un mix di foglie essiccate imbevute di cannabinoidi sintetici, molecole costruite in laboratorio, che possono risultare fino a cento volte più potenti del THC. All’apparenza sembrano innocue, simili a una tisana dimenticata in fondo a un sacchetto. Gli effetti, però, sono tutt’altro: tachicardia, crisi convulsive, allucinazioni, stati paranoici, psicosi persistenti, danni cerebrali irreversibili. In alcuni casi, anche morte improvvisa. Il nome, “Spice”, suona quasi rassicurante, vagamente esotico, come un personaggio da fumetto. E sui social diventa spettacolo: video veloci, ironici, che lo rendono normale.
“Se è online, non può essere pericoloso”
Ed è così che ragazzi di 13 o 14 anni finiscono per provarlo: attratti dalla novità, convinti che se appare su una piattaforma non possa fare davvero male. Lo spacciatore di oggi non è più l’uomo nell’ombra a un incrocio, ma un algoritmo che non vende bustine, ma propone contenuti in un feed. Il risultato però non cambia: la sostanza arriva comunque, e il rischio rimane intatto.
Nascosto nelle e-cig
In Inghilterra, alcune indagini hanno rivelato che persino una sigaretta elettronica su sei contiene Spice, senza che chi la usa ne sia consapevole. In Italia, i dati raccontano una realtà simile: più del 10% degli adolescenti ammette di averlo provato almeno una volta. Non è solo una questione di numeri o di sostanze, ma un segnale culturale: l’età dell’adolescenza è il terreno ideale per cadere in queste trappole. A 13 anni il corpo cambia, l’identità è incerta, il bisogno di sentirsi parte di un gruppo diventa impellente. Lo Spice appare come scorciatoia verso coraggio e appartenenza a basso costo.
Dal gioco all’incubo
Per molti è una risposta rapida a un vuoto che non sanno spiegare. Ma una volta provato, il “gioco” si trasforma in un incubo: attacchi di panico ingestibili, pronto soccorso pieni di ragazzi in convulsioni, adolescenti che restano come “zombie” per giorni. Dietro alla chimica dello Spice c’è la fragilità di una generazione che fatica a tollerare frustrazione e attese: un like non è mai abbastanza, un’ora di silenzio pesa troppo, un “no” viene percepito come un rifiuto totale. Lo Spice intercetta esattamente questa vulnerabilità: promette euforia immediata e una fuga dalla noia, ma è un inganno crudele che consuma con la stessa rapidità con cui agisce.
L’illusione dei genitori
Molti genitori sostengono: “Mio figlio certe cose non le guarda”. Ma è un’illusione comoda: nessuna cameretta è al riparo dall’algoritmo. Non basta proibire, togliere lo smartphone o far finta di niente. Serve dialogo: spiegare che dietro un nome accattivante si nasconde un veleno, offrire spazi di parola, sport, relazioni autentiche. Perché se non siamo noi a educare, lo farà il web. E il web non educa: intrattiene, normalizza, seduce. La domanda centrale non è solo “come fermare lo Spice”, ma “perché tredicenni sentono il bisogno di cercarlo”.
Un vuoto da colmare
Che cosa manca ai nostri ragazzi, tanto da portarli a riempire quel vuoto con sostanze nate per distruggerli? Se non diamo strumenti per affrontare noia, rabbia e dolore, cercheranno soluzioni altrove. E quell’“altrove” oggi è a portata di click. Lo Spice è la metafora perfetta del nostro tempo: si traveste da innocuo, si diffonde attraverso algoritmi, viene consumato da chi non ha ancora consapevolezza della propria fragilità.





