Oggi la Commissione affari giuridici del Parlamento europeo si pronuncerà sulla richiesta di revoca dell’immunità parlamentare di Ilaria Salis, eurodeputata eletta con Alleanza Verdi Sinistra (Avs). La decisione, seppur cruciale, non sarà definitiva: il voto conclusivo spetterà all’Aula plenaria, presumibilmente nella prima settimana di ottobre. Tuttavia, il parere della commissione orienta tradizionalmente l’esito finale, rendendo questo passaggio essenziale per il futuro politico e giudiziario di Salis.
Il voto in commissione sull’immunità di Ilaria Salis
Attualmente, la situazione in commissione appare incerta. Su 25 membri, 11 eurodeputati si sono detti pronti a difendere l’immunità di Ilaria Salis, rappresentanti che spaziano dalla sinistra, tra cui il pentastellato Mario Furore, ai Verdi, ai Liberali e ai Socialisti come il dem Brando Benifei. Al contrario, 7 eurodeputati, appartenenti a gruppi sovranisti come Europa delle nazioni sovrane e patrioti e Conservatori Ecr, sono quasi certi di votare per la revoca, incluso il meloniano Mario Mantovani.
Il ruolo decisivo sarà giocato dai 7 membri del Partito Popolare Europeo (PPE), la cui posizione sembra orientata a favore della revoca, come indicato dalla riservatissima relazione del relatore spagnolo Adriàn Vàzquez Làzara. Tuttavia, proprio la relazione di Vàzquez Làzara evidenzia una crepa all’interno del PPE: la presenza di una frase che rileva “l’assenza di fumus persecutionis” – cioè di un sospetto fondato di persecuzione politica – ha sollevato dubbi tra alcuni popolari. Secondo fonti interne, basterebbero due defezioni per salvare l’immunità di Salis.
La campagna elettorale ungherese e il contesto politico europeo
Il destino di Salis è ulteriormente complicato dal contesto elettorale ungherese: il voto in commissione coincide con quello sulla revoca dell’immunità di Péter Magyar, eurodeputato ex Fidesz e ora leader del Partito del Rispetto e della Libertà, principale oppositore di Viktor Orbán. Magyar, in forte ascesa nei sondaggi in vista delle elezioni di aprile 2026, rappresenta un elemento chiave nella strategia del PPE.
Da un lato, il Partito Popolare potrebbe voler congiungere i due casi per lanciare un segnale critico verso il sistema giudiziario ungherese e sostenere la tesi della persecuzione politica. Dall’altro, alcuni popolari temono che se Salis e Magyar si rifugiassero dietro l’immunità, Orbán potrebbe usare questa circostanza per alimentare la sua campagna euroscettica, accentuando la narrazione di un’Europa ostile alla sovranità nazionale.
L’appello degli alleati politici e lo scontro diplomatico
Intanto, Ilaria Salis ha lanciato un ultimo appello in un’intervista rilasciata a Corriere.it: “Voglio essere processata, ma in Italia”, denunciando come un processo in Ungheria sarebbe un “verdetto già scritto”. Ha rivolto un invito diretto al governo di Giorgia Meloni affinché si impegni per garantire che il procedimento si svolga nel nostro Paese.
Il caso ha suscitato reazioni anche sul piano istituzionale: la vicepresidente del Parlamento europeo e eurodeputata dem Pina Picierno ha sottolineato che opporsi alla revoca dell’immunità significa “difendere l’autonomia delle istituzioni europee” e ha accusato il premier ungherese Viktor Orbán di adottare “metodi repressivi simili a quelli di Vladimir Putin”.
Sul fronte ungherese, il portavoce del governo Zoltan Kovacs ha risposto all’eurodeputata diffondendo via social le coordinate del carcere di Márianosztra, dove Salis è stata detenuta, in un gesto che molti interpretano come un’intimidazione.






