Il geopolitico e giornalista Dario Fabbri, direttore della rivista Domino, è stato recentemente ospite del podcast The BSMT di Gianluca Gazzoli, in un appuntamento che l’ospite ha definito necessario per cercare di capire “cosa sta succedendo nel mondo” in uno dei periodi storici “più complessi sicuramente della nostra generazione“. Fabbri, che si definisce anche “analista geopolitico” (non essendo “geopolitico” un vero e proprio mestiere), ha offerto una panoramica incisiva sulle crisi globali e ha delineato un approccio metodologico radicalmente diverso da quello convenzionale.
La geopolitica umana: oltre i Governi e le Cancellerie
Dario Fabbri, che è anche giornalista professionista e autore di quattro libri, tra cui il recente Il Destino dei popoli, sostiene che l’analisi internazionale deve abbandonare la visione verticistica basata su leader e governi per concentrarsi sulle masse e sui sentimenti collettivi. Ha sviluppato una variante della disciplina chiamata Geopolitica Umana, che parte dal presupposto che “il grosso è guardare le cose dal basso vuol dire guardare i popoli, ai sentimenti, alla psicologia collettiva, tutto ciò che noi non siamo abituati in occidente” a valutare.
L’analista critica aspramente la tendenza a imputare i fatti internazionali a singole figure potenti, definendo l’abitudine di “aggrapparsi ai leader” come “un modo per non studiare, per non approfondire“. Spesso, infatti, i leader sono espressione di sentimenti preesistenti. Un concetto fondamentale in questo approccio è che “non esiste una dittatura senza consenso“, anche se si tratta della peggiore dittatura, come quella nordcoreana.
Per un analista, la chiave è espandere la propria conoscenza oltre il proprio ambito. Rifacendosi a un celebre allenatore di calcio, Fabbri afferma in modo perentorio: “chi sa solo di calcio non sa niente di calcio. Quindi chi si occupa soltanto di questioni internazionali e basta rimane confinato dentro di sé“. Il ruolo dell’esperto, in un’epoca di eccessiva quantità di informazioni, dovrebbe essere unicamente quello di distinguere “ciò che conta e ciò che non conta“.

Dario Fabbri: il rischio bellico e la logica imperiale
Rispondendo alla domanda cruciale sul pericolo di un conflitto globale, Dario Fabbri non usa mezzi termini: “Sì, la stiamo rischiando la terza guerra mondiale che non vuol dire che ci sarà per chi ci ascolta. Cioè, è la volta in cui ci siamo più vicini nella storia dell’ultima più recente. Sì, probabilmente sì“. Questo rischio è accentuato dalla presenza di due enormi potenze nucleari, Russia e Stati Uniti, e dalla consapevolezza che le guerre sono eventi “totalmente imprevedibili” e che “Nessuna guerra è nelle mani dei leader, nessuna guerra è controllata da remoto come in un videogioco“.
Al centro delle tensioni globali vi è la strategia americana che si prepara a un “scontro finale con la Cina“, cercando di dividere i suoi due principali nemici (Cina e Russia). L’obiettivo statunitense è sedurre la Russia per giocarla, in quanto “più deboli contro il più forte, la Cina“.
Analizzando la mentalità russa, Fabbri evidenzia che, pur mancando di un’economia come quella occidentale, i russi non agiscono per benessere, bensì per “gloria“: “Noi non abbiamo un’economia. La Russia di fatto non ce l’ha un’economia… Di che diavolo campano i russi? Di gloria“. Loro cercano il rispetto e la paura degli altri, credendo che resteranno “nei libri di storia“.
La prospettiva italiana e la critica all’Occidentalismo
L’Italia, secondo Dario Fabbri, è un “satellite del campo americano“. Noi viviamo credendo che la storia sia finita e occupandoci solo di benessere e qualità della vita, il che ci rende “innocuo“. Siamo talmente fuori dal tempo che consideriamo gli altri popoli “arcaici“.
L’analista demolisce la presunzione occidentalista secondo cui gli altri popoli desiderino vivere come noi, definendo tale atteggiamento come un “esercizio di tale razzismo“. L’Occidente stabilisce che, se liberi, gli altri “realizzerebbero una società identica alla nostra“. Tale pregiudizio è visibile perfino nell’analisi linguistica della parola “libertà“: mentre in Occidente ha un’accezione positiva, in russo (svaboda) significa “pensare a se stessi, quindi libertà è un’accessione negativa“ e comporta l’egoismo nei confronti della collettività.
Fabbri conclude con una nota sulla principale carenza antropologica italiana: la mancanza di rapporto con il mare. L’Italia, penisola al centro del Mediterraneo, usa il mare solo “alla balneazione“, ignorando che “il mare serve per andare al mondo, per veicolare se stessi, per entrare nei traffici e nella potenza del pianeta“. Per un popolo anziano e benestante come l’Italia (47.5 anni di età media), il mare è visto come l’ignoto, il che rende difficile reinventarsi e affrontare la storia.
L’intervista ha anche toccato la carriera di Fabbri, dalla sua passione giovanile per la memoria e le carte geografiche, fino alla svolta professionale con Enrico Mentana e la fondazione di Domino nel 2022, un progetto editoriale che sta riscontrando notevole successo.

L’importanza societaria delle manifestazioni
Dario Fabbri afferma in modo netto che manifestare è sempre utile, vedendo nella partecipazione pubblica un antidoto al decadimento sociale.
“Ti dico di sì, ti dico di sì perché manifestare a mio avviso serve sempre.”
Sottolinea la sua preoccupazione per l’apatia, definendo chiaramente quale sia la peggiore condizione per una società:
“Mi preoccupo sempre, io non conto niente, ma insomma quando guardo gli elementi della società mi preoccupo sempre dell’assenza di partecipazione. Che c’è di peggio di una società che muore, come dicevo, quella che sta chiusa la sera in casa a vedere serie televisive.”
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Dario Fabbri e l’impatto e limiti delle proteste contro il Governo su Gaza
Riguardo alle manifestazioni, che Gazzoli ha notato essere un fenomeno “che non avevamo mai visto nella nostra vita“, contro le azioni a Gaza e a sostegno della Global Sumud Flotilla, Dario Fabbri ha analizzato il loro impatto sulla realtà geopolitica, distinguendo tra percezione e cambiamento effettivo:
- Le numerose manifestazioni occidentali “contro il genocidio a Gaza, eccetera, hanno avuto un effetto sulla percezione del governo israeliano“.
- Tuttavia, queste proteste non hanno avuto la forza di modificare la direzione degli eventi internazionali. Fabbri ribadisce che la pressione per imporre una nuova traiettoria è arrivata dagli Stati Uniti.
Fabbri ha quindi ridimensionato il ruolo che le masse possono avere nel mutamento strategico:
“A cambiare il corso degli eventi? No, cioè non non dobbiamo mai sopravvalutarci.”
Valore del gesto e il sentimento popolare
Dario Fabbri ha espresso apprezzamento per l’impegno di chi partecipa, ad esempio, a iniziative come la “Flotilla”, considerandolo un atto di valore personale e generosità:
“L’ho trovato un gesto di coraggio, l’ho trovato un gesto anche di generosità. Potevano starsene a casa e non l’hanno fatto e questo gli va assolutamente ascritto come merito.”
Ha inoltre notato che una parte della popolazione israeliana, in particolare la fascia più laica e occidentalista, vive “con dolore il fatto che l’occidente possa voltare le spalle a Israele“, dimostrando come l’opinione pubblica occidentale sia ancora tenuta in grande considerazione da questo segmento della società israeliana.
Infine, parlando della categoria dello “sciopero generale”, Fabbri ha definito questa come una “scelta puramente politica che non che che non riguarda la vicenda di Israele“.






