Ospite del BSMT condotto da Gianluca Gazzoli, il mitico Dottor Costa, la leggenda della medicina sportiva nel motorsport. L’intervista verte sulla sua carriera, in particolare sull’invenzione della Clinica Mobile, nata in seguito alla tragedia di Monza nel 1973 per salvare la vita ai piloti in pista. Il Dottore descrive il suo approccio eretico e altamente empatico alla medicina, che privilegiava la volontà e il desiderio del pilota di correre, anche a dispetto delle lesioni, citando i casi emblematici di Mick Doohan, Valentino Rossi e Jorge Lorenzo.
Vengono affrontati anche i temi del rischio nel motociclismo e del difficile carico emotivo sopportato nel perseguire tale metodo, inclusa la gestione della perdita di piloti come Marco Simoncelli e Renzo Pasolini. L’intervista si conclude con una riflessione sul suo ritiro e sul futuro della Clinica Mobile, sottolineando come la sua carriera sia stata definita dalla convinzione che “dalla tragedia nasce il bello“.
Dottor Costa, la Clinica Mobile: dall’altare degli Dei alla fine della barbarie
La fondazione della Clinica Mobile, l’istituzione più iconica legata alla carriera di Claudio Costa, noto semplicemente come il Dottor Costa, nacque da una tremenda tragedia. Il Dottore confessa che l’idea prese forma dopo aver stretto al petto due grandi campioni morti a Monza nel 1973, Renzo Pasolini e Jarno Saarinen. Da questa tragedia personale, nacque un principio fondamentale che ha guidato tutta la sua opera: “Dalla tragedia nasce il bello“.
La Clinica Mobile, presentata per la prima volta nel 1977, fu concepita per garantire che i piloti potessero essere salvati sul luogo dell’incidente. Prima del suo arrivo, la situazione era “la barbaria“, con i piloti che venivano portati via “come dei sacchi di patate“. L’innovazione del Doc ha rimosso questa barbarie, introducendo rianimatori in pista e, successivamente, la regola di avere defibrillatori in ogni curva.
Il Dottor Costa vede la Clinica non come una semplice infermeria, ma come un luogo mistico: “La clinica è un mito. La clinica è l’altare degli dei. L’altare dove il pilota celebra quel rituale magico di risorgere dalle ferite, dalle fratture, dalle malattie per continuare a inseguire il suo sogno“.

Il Dottor Costa e la medicina eretica
La filosofia medica del Dottor Costa si discosta dai protocolli convenzionali e dalla paura dell’errore. Mentre la medicina tradizionale imponeva riposo e immobilizzazione, il Doc chiedeva al pilota: “Tu che cosa desideri?“. Questo approccio, basato sul desiderio e sulla “promessa di felicità“, era visto come una medicina “miracolosa e meravigliosa“.
Quando un pilota ferito gli chiedeva di correre, la risposta del Doc era sempre la stessa, un incoraggiamento che infondeva speranza: “è impossibile, ma si può tentare“. Egli ha osservato che, stranamente, “tutti i piloti feriti andavano più forte di quelli sani“. Per lui, le ferite non necessitavano più del tempo per guarire, ma “di amore e di una volontà irrazionale folle“.
Questo approccio, sebbene vincente, ha avuto un costo emotivo altissimo. Il Dottore confessa di aver pagato la sua fama “con la mia disperazione, con le mie paure, coi miei dubbi e con, diciamo, con l’ansia, ci credo, di avere sbagliato“.
Un caso emblematico di questa filosofia eretica riguarda Jarno Saarinen nel 1973. Dopo una frattura alla tibia, il protocollo prevedeva due mesi di gesso. Saarinen, tuttavia, gli chiese quando avrebbe potuto correre, rispondendo: “Fra una settimana a Modena, poi a Imola 200 miglia, poi cominciare il campionato del mondo“. Costa rimosse il gesso dopo una settimana, e Saarinen vinse diverse gare prima di morire a Monza. Ancora oggi, il Doc si chiede: “Io quel gesso oggi l’avrei messo o no?“.
Marco Simoncelli: la vittoria sul destino
Il Dottor Costa nutriva un amore profondo per Marco Simoncelli, un ragazzo “eccezionale” che considerava come un figlio. Marco è ricordato per la sua incredibile volontà di vincere, che lo tenne aggrappato al manubrio durante la caduta fatale in Malesia.
Costa interpreta l’ultima caduta di Simoncelli non come una sconfitta, ma come una vittoria contro la morte, personificata come “una signora vestita di nero ai bordi della pista“. Marco le avrebbe detto: “Signora, lei crede oggi di avere vinto, ma io stasera torno a casa con mio padre Paolo… ma quello che più conta tornerò a casa nel cuore di tutti quelli che mi vogliono bene, per cui tu oggi non mi porti via, non vinci oggi finalmente ecco perché ho stretto questo manubrio, perché ho vinto”.
Il Doc ha un profondo rimorso legato alla tragedia. Essendo superstizioso, credendo che la superstizione possa trasformarsi in profezia e dare l’illusione di controllare la realtà, ricorda che alla partenza in Malesia, Paolo Simoncelli notò e bruciò l’asciugamano appoggiato sul casco di Marco, considerandolo un segnale sfavorevole. Costa non era presente: “Se ci fossi stato e avessi visto quell’asciugamano certamente avrei agito“.
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Valentino Rossi: il medico di famiglia e lo stato di grazia
Il rapporto con Valentino Rossi affonda le radici nella storia familiare. Il Doc era il “medico di famiglia per la traumatologia” di Valentino. Aveva salvato il padre, Graziano Rossi, caduto a Imola nel 1982 e salvato dall’anestesista del Doc, restituendo così un padre a Valentino, che all’epoca aveva tre anni.
Il Dottor Costa ammirava la facilità di Rossi nell’entrare in un “stato di grazia” durante la corsa. Rossi, utilizzando il “gioco” (ludus) per illudere gli avversari, riusciva a raggiungere quella zona in cui compiva imprese inspiegabili.
Tuttavia, il loro rapporto si incrinò nel 2010 dopo l’infortunio alla spalla di Rossi al Mugello. Il Doc si sentì messo in discussione da metodi esterni. Commise quello che lui definisce un errore: “non sono riuscito a curarlo con sistema dottor Costa clinica mobile“.
Riflettendo, il Doc ammette l’errore: “Certamente ho sbagliato perché il medico si deve sottoporre a tutte quelle che sono i desideri del pilota“. In quell’occasione, usò la ragione, che aveva sempre combattuto. Nonostante ciò, Rossi lo ha ricucito con “una forma di pace“.
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Altri eroi del Dottor Costa e la follia incredibile
Il Dottor Costa ha assistito a imprese al limite della scienza. Mick Doohan, suo “figliolo preferito” dopo il 1992, cadde in Olanda nel 1996 riportando una grave frattura alla gamba destra. Per salvargli la vita e l’arto, Costa unì chirurgicamente la gamba malata a quella sana. Doohan tornò a correre in Brasile con ferite aperte dopo 40 giorni, e sebbene perse il titolo quell’anno, vinse poi cinque campionati del mondo. Costa definisce la sua storia come una “grande follia“.
Un’altra incredibile impresa fu quella di Jorge Lorenzo, che dopo la frattura alla clavicola ad Assen, fu operato in Spagna e tornò in pista 24 ore dopo, arrivando quinto. Questo dimostra, ancora una volta, che “le ferite nel mondo del motociclismo non hanno bisogno del tempo per guarire“.
Infine, il Doc è stato anche il medico segreto di Ayrton Senna, che lo consultò sulla preparazione fisica e sugli integratori. Senna era per lui una “leggenda mistica” che sapeva trovare “i frammenti del paradiso perduto” dentro di sé. Anche la tragedia di Senna, colpito da un proiettile della sospensione al Tamburello, ha portato, come da sua filosofia, un cambiamento positivo nella sicurezza dei circuiti.
La sua carriera, totalizzante, lo ha visto in prima linea nel rimuovere la barbarie e nel sostenere gli eroi delle due ruote, lasciando un’eredità in cui l’empatia è la vera chiave della cura: “I pazienti vanno amati, è l’amore che ci lega. Niente camice, niente distacco, niente differenze“.






