È bastato un giorno e mezzo di conclave per cambiare la storia del papato. In Vaticano si è assistito a uno dei più rapidi e sorprendenti esiti degli ultimi decenni: Robert Francis Prevost, cardinale agostiniano, è stato eletto Papa Leone XIV, diventando così il primo pontefice statunitense della storia. Ma la sua elezione non era scontata: il suo nome ha superato quello del favorito Pietro Parolin proprio all’ultimo scrutinio, in una virata che molti definiscono un segnale fortissimo di cambiamento.
Un missionario tra i poveri, non un uomo di Curia
Nato a Chicago nel 1955 da famiglia con origini italiane, francesi e spagnole, Leone XIV non ha mai fatto parte dei grandi palazzi della Curia romana. Il suo cuore pastorale si è formato in Perù, dove ha vissuto vent’anni come missionario nella diocesi di Chiclayo, a stretto contatto con le comunità più umili. Qui ha imparato non solo lo spagnolo, ma anche cosa significhi vivere la fede nelle periferie del mondo, senza clamore ma con dedizione quotidiana.
Il suo ritorno alla ribalta è avvenuto quando Papa Francesco lo ha nominato Prefetto del Dicastero per i Vescovi, uno dei ruoli chiave nella selezione dei futuri pastori della Chiesa. Ma nessuno si aspettava che in poche votazioni potesse scalzare Parolin, segretario di Stato e volto più “istituzionale” del Vaticano.
Perché ha scelto il nome Leone e cosa significa
La decisione di chiamarsi Leone XIV non è affatto casuale. In una delle sue prime dichiarazioni, il Papa ha spiegato che il riferimento è diretto a Leone XIII, autore dell’enciclica “Rerum Novarum”, considerata il primo grande documento della Chiesa sulla giustizia sociale. Il nuovo pontefice ha voluto così lanciare un messaggio chiaro: il suo pontificato sarà vicino ai poveri, attento ai diritti dei lavoratori e pronto a confrontarsi con le sfide globali del nostro tempo, a partire da migrazioni, disuguaglianze e intelligenza artificiale.
Un altro segnale forte è arrivato dal suo stemma papale: due cuori trafitti — quello di Cristo e quello di Maria — sormontati dalla croce. Un’immagine di compassione e umiltà, che richiama lo stile agostiniano fatto di comunità, ascolto e interiorità.

Le priorità del nuovo Papa: dialogo, riforme e attenzione ai giovani
Leone XIV ha indicato subito i temi che saranno al centro del suo pontificato. Tra questi, la volontà di proseguire il cammino sinodale aperto da Francesco, ma anche di snellire la macchina vaticana, rilanciare il dialogo ecumenico e coinvolgere le nuove generazioni in un cammino di fede autentica. Le sue prime parole non hanno lasciato dubbi: «La Chiesa deve uscire ancora di più, non per parlare ma per ascoltare».
Ha poi sottolineato l’urgenza di una nuova evangelizzazione nel digitale, dimostrando consapevolezza verso il mondo tecnologico e i rischi che esso comporta in termini di disumanizzazione, ma anche le sue potenzialità. Secondo chi lo conosce, nonostante il suo stile riservato, Leone XIV è determinato a portare avanti le riforme, senza temere le resistenze.
Un Papa che parla al mondo con il cuore di un pastore
Chi lo ha visto nei primi giorni dopo l’elezione, racconta di un Papa che cammina da solo tra la gente, che ascolta senza giudicare, che si emoziona di fronte a una richiesta di benedizione. Parla sette lingue, ma quello che usa meglio è il linguaggio dell’empatia.
La sua figura, lontana da ogni protagonismo, ricorda in parte quella di Papa Francesco, ma con un tocco ancora più pastorale e silenzioso. Non ama le telecamere, ma si fa notare per lo sguardo diretto e la voce pacata. Le sue prime uscite pubbliche hanno già conquistato i cuori di molti fedeli, colpiti dalla sincerità e dalla dolcezza del suo modo di fare.






