Passeggiando per Roma si incontrano statue che non sono solo opere d’arte, ma testimoni di storie incredibili, leggende e curiosità che raccontano la vita della città attraverso i secoli. Ecco cinque statue da ammirare gratuitamente nella Capitale e le storie che le rendono uniche.
Roma è un museo a cielo aperto. Ogni angolo custodisce tracce di epoche diverse: dall’antica Roma al Medioevo, dal Rinascimento al Barocco, fino all’età contemporanea. Non si tratta solo di monumenti grandiosi, ma anche di statue spesso dimenticate o osservate di sfuggita, che invece celano aneddoti capaci di raccontare molto della città e del suo rapporto con il potere, la fede e la cultura popolare.
Pasquino e le statue parlanti di Roma
Tra le tante statue della Capitale, Pasquino è forse la più curiosa. Collocata in Piazza Pasquino, a due passi da Piazza Navona, non colpisce tanto per la sua bellezza quanto per la funzione che ha avuto nei secoli: diventare la più celebre delle statue parlanti di Roma.
Dal XVI secolo i cittadini usavano appendere su di essa componimenti satirici diretti ai governanti. Questi messaggi, chiamati pasquinate, potevano essere pungenti poesie, critiche feroci o battute argute, sempre scritte in forma anonima per evitare persecuzioni. In tutto, le statue parlanti erano sei (tra cui Marforio e Madama Lucrezia), ma Pasquino divenne la più famosa, al punto da dare il nome a questo tipo di satira popolare.
La statua stessa è molto più antica: un frammento ellenistico del III secolo a.C., scoperto nel 1501 durante i lavori di restauro del Palazzo Orsini (oggi Palazzo Braschi). Fu il cardinale Oliviero Carafa a volerla preservare e collocare nella piazza, salvandola dalla distruzione.
Il suo destino, però, fu burrascoso: nel XVI secolo papa Adriano VI voleva gettarla nel Tevere, mentre Benedetto XIII arrivò a emanare un editto che condannava a morte chiunque osasse affiggere pasquinate. Nonostante questo, la tradizione continua ancora oggi, con una bacheca accanto alla statua in cui vengono raccolti i messaggi. Pasquino rimane così il simbolo dell’ironia e della resistenza civile romana.

Il Pulcin della Minerva: l’elefante beffardo di Bernini
In Piazza della Minerva, davanti alla Basilica di Santa Maria sopra Minerva, sorge un obelisco sorretto da un piccolo elefante. Si tratta del celebre Pulcin della Minerva, progettato da Gian Lorenzo Bernini e realizzato nel 1667 da Ercole Ferrata.
Il nomignolo “Pulcin” deriva dal termine romanesco “porcino”, che i cittadini associarono alla forma tozza dell’elefantino. L’obelisco, invece, ha origini molto più antiche: proviene da Eliopoli, in Egitto, e risale al IV secolo a.C.
La vera curiosità è legata alla posa dell’elefante. Secondo la tradizione, l’animale volge il dorso (e quindi le terga) verso il convento dei domenicani che contestarono aspramente il progetto di Bernini, giudicandolo ridicolo. Una vendetta sottile, attribuita all’estro irriverente dell’artista.
Questa statua, apparentemente buffa, ha ispirato persino Salvador Dalí, che la prese come modello per alcune sue opere, tra cui La tentazione di Sant’Antonio e Gli elefanti. Un esempio perfetto di come un’opera nata nel Seicento abbia continuato a stimolare l’arte nei secoli successivi.

Il monumento a Giordano Bruno, simbolo di libertà
In Campo de’ Fiori, tra i banchi del mercato e i tavolini dei locali, si erge una statua che ancora oggi suscita emozioni contrastanti: il monumento a Giordano Bruno. Realizzata da Ettore Ferrari e inaugurata nel 1889, la statua commemora il filosofo arso vivo sul rogo il 17 febbraio 1600.
La sua realizzazione fu un percorso lungo e tormentato. Per decenni, infatti, i tentativi di onorare Bruno furono ostacolati dalla Chiesa, che vedeva in lui un eretico. Solo con l’Italia unita prese forza il movimento laico che spinse per l’opera. Alla raccolta fondi parteciparono anche grandi personalità dell’epoca, come Victor Hugo, Henrik Ibsen, Giosuè Carducci e Cesare Lombroso.
L’inaugurazione fu accolta come una vittoria del pensiero libero contro il potere clericale. Non a caso, papa Leone XIII reagì con un gesto clamoroso: rimase in digiuno per un giorno intero inginocchiato davanti alla statua di San Pietro, in segno di protesta.
Durante il fascismo, i cattolici proposero nuovamente di rimuovere la statua, ma Mussolini si rifiutò, temendo le reazioni internazionali. Oggi Bruno rimane lì, con il volto incappucciato rivolto verso il Vaticano, simbolo universale di libertà di pensiero e tolleranza.

La statua equestre di Marco Aurelio: il miracolo della sopravvivenza
Imponente e solenne, la statua equestre di Marco Aurelio domina piazza del Campidoglio. Quella che vediamo all’aperto è una copia del 1997, mentre l’originale del II secolo d.C. si conserva nei Musei Capitolini.
Questa statua è un autentico miracolo: mentre quasi tutte le statue bronzee dell’antichità furono fuse per ricavarne metallo, quella di Marco Aurelio sopravvisse. In tutto, oggi conosciamo appena venti statue bronzee romane arrivate fino a noi, e solo tre equestri: quella di Marco Aurelio è l’unica rimasta integra e sempre esposta.
La ragione della sua salvezza sta in un clamoroso equivoco: per secoli fu scambiata per la raffigurazione dell’imperatore Costantino, che aveva concesso la libertà ai cristiani. Per questo motivo, anziché essere distrutta, fu custodita nei pressi del Laterano.
Solo nel Quattrocento gli studiosi scoprirono la vera identità del personaggio. Ormai, però, la statua era salva. Attorno ad essa nacque anche una leggenda: si dice che, quando la doratura tornerà a ricoprire interamente il bronzo, il ciuffo del cavallo annuncerà l’arrivo del Giudizio Universale.

L’angelo di Castel Sant’Angelo: un destino travagliato
In cima a Castel Sant’Angelo si erge la statua di un angelo, che dà il nome alla fortezza. Quella attuale, in bronzo, è opera di Peter Anton von Verschaffelt (1753), ma prima di essa ci furono numerose versioni, tutte segnate dalla sfortuna.
La prima statua era in legno, deterioratasi rapidamente. Seguì un angelo di marmo, distrutto nel 1379 durante un assedio. Nel 1453 ne venne eretto un altro, sempre in marmo ma con ali di bronzo, che resistette fino al 1497, quando un fulmine colpì la polveriera del castello facendolo esplodere.
Poi arrivò un angelo in bronzo dorato, fuso nel 1527 per realizzare cannoni durante il Sacco di Roma. Nel Cinquecento fu la volta dell’angelo scolpito da Raffaello da Montelupo, oggi visibile nel cortile interno del castello. Solo nel XVIII secolo si arrivò alla versione attuale, che sopravvive ancora oggi.
Questa statua ha un’origine leggendaria: secondo la tradizione, durante la peste del 590 d.C., papa Gregorio Magno vide l’Arcangelo Michele comparire in cima alla fortezza e rinfoderare la spada, annunciando la fine dell’epidemia. Da allora il luogo prese il nome di Castel Sant’Angelo, e l’angelo ne divenne simbolo di protezione.







