L’Italia sta vivendo un decennio che sembra uscito da un diario di bordo in piena emergenza. Dal 2015 a settembre 2025 il Paese ha contato 811 eventi meteorologici estremi, un numero che, da solo, traduce in cifre ciò che molte comunità hanno imparato sulla propria pelle: la crisi climatica non è più un orizzonte futuro, ma un presente che picchia duro. Nei primi nove mesi del 2025 gli episodi registrati sono 97, una media che non lascia spazio a interpretazioni ottimistiche.
Questi numeri emergono dal nuovo rapporto “CittàClima. Speciale governance per l’adattamento al clima delle aree urbane”, elaborato da Legambiente insieme al Gruppo Unipol e presentato il 6 novembre, a ridosso della COP30 in Brasile, dove il tema dell’adattamento è già uno dei più discussi.
Un’Italia sotto pressione: allagamenti, vento estremo, esondazioni
La mappa degli eventi segnalati negli ultimi undici anni sembra un mosaico di fragilità. Gli allagamenti da piogge intense rappresentano il fenomeno dominante, con 371 casi, seguiti da 167 episodi di raffiche di vento e trombe d’aria e 60 esondazioni di fiumi. Ma il bollettino non si ferma qui: compaiono 55 danni a infrastrutture causati da piogge violente o picchi termici che mandano in tilt trasporti e reti strategiche, e 33 eventi di danni da grandinate sempre più violente.
Il quadro geografico aggiunge una nota ancora più cupa. Roma guida la classifica con 93 eventi estremi, pari all’11,5% del totale nazionale: un primato amaro che racconta un territorio vulnerabile alle piogge improvvise, ai venti violenti e alle ondate di calore. Milano segue con 40 episodi, tra cui 16 esondazioni, a conferma della fragilità idraulica che da anni accompagna la città. Il livello raggiunto dal Seveso a Niguarda nel settembre 2025, 4,92 metri, ha eguagliato quello dell’esondazione del luglio 2014.
Subito dopo compaiono Genova (36 eventi), Palermo (32), Napoli (20) e Torino (13). È il Sud a mostrare in diversi casi un’accelerazione di fenomeni violenti, con città costiere esposte a piogge improvvise e trombe d’aria.

Non solo metropoli: a soffrire sono soprattutto le città intermedie
I dati del rapporto mostrano una verità spesso ignorata: i centri tra 50 e 150 mila abitanti sono stati i più colpiti, raccogliendo da soli il 48% degli eventi nazionali. Una fascia di città che non ha la robustezza infrastrutturale delle metropoli e spesso nemmeno risorse sufficienti per affrontare piani complessi di adattamento.
Tra i centri più colpiti figurano:
Agrigento (28 eventi)
Ancona (14)
Fiumicino, Forlì e Como (11 ciascuno)
Nella fascia tra 150 e 500 mila abitanti il primato va a Bari con 33 casi, seguita da Bologna (18), Firenze (14) e Catania (13). Una distribuzione che conferma la vulnerabilità di territori molto diversi per clima, posizione geografica e tipo di urbanizzazione.
Adattamento climatico: troppi ritardi, pochi piani, strategie a metà
Il rapporto di Legambiente fa emergere ciò che gli episodi degli ultimi anni avevano già messo in evidenza: l’Italia non è preparata. Tra i 136 Comuni sopra i 50 mila abitanti colpiti da fenomeni estremi, solo il 39,7% ha adottato un piano di adattamento.
La percentuale cambia drasticamente in base alla dimensione del territorio:
83% delle città con più di 500 mila abitanti ha un piano attivo
70% dei Comuni tra 150 e 500 mila abitanti
Appena 32% tra 50 e 150 mila abitanti
Il caso più clamoroso riguarda le grandi città prive di una strategia: Napoli, insieme a Bari, Reggio Calabria, Prato e Perugia. Un segnale preoccupante per territori che negli ultimi anni hanno già mostrato segni evidenti di stress climatico.
Un Piano nazionale approvato ma rimasto senza risorse
A questo si aggiunge un nodo istituzionale che Legambiente non risparmia: il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), approvato nel dicembre 2023, è rimasto senza fondi nella legge di Bilancio 2025. Un documento che esiste sulla carta ma non nelle possibilità reali dei Comuni.
Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, parla apertamente di “urgenza ignorata”. Secondo Zampetti, il dibattito politico sembra concentrato più sul Ponte sullo Stretto di Messina che sulla sicurezza dei territori. Un progetto da 13,5 miliardi di euro che a fine ottobre ha subito un arresto quando la Corte dei Conti ha negato il visto di legittimità alla delibera del CIPESS.
In parallelo, Legambiente richiama la necessità di una legge nazionale sul consumo di suolo, ferma in Parlamento dal 2016. Il dato 2024 offre una misura del problema: 2,7 metri quadri di suolo persi ogni secondo, per un totale di 83,7 km² trasformati in aree artificiali. È il valore più alto degli ultimi 12 anni.
Un Paese che cambia volto più velocemente delle sue risposte
L’impressione generale è quella di un’Italia che corre a velocità diverse: da un lato i territori, che subiscono la crescente intensità dei fenomeni estremi, dall’altro le istituzioni, che arrancano tra piani incompleti e strategie troppo lente. Le città, soprattutto le medie, restano in prima linea senza strumenti adeguati, mentre la crisi climatica accelera.
E la fotografia scattata da Legambiente non è solo un report: è una mappa di fragilità, un avvertimento, una richiesta di prendere sul serio ciò che ormai è sotto gli occhi di tutti.






