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Home Lifestyle

Perché Milano vince i report ma perde pezzi della sua comunità

Il nuovo report di ItaliaOggi e Ital Communications conferma il primato della metropoli, ma la vita quotidiana racconta una città diversa

by Matilde Giunti
18 Novembre 2025

nuovo report annuale elaborato da ItaliaOggi e Ital Communications con la collaborazione dell’Università Sapienza di Roma colloca ancora una volta Milano in cima alla classifica delle province italiane per qualità della vita, un risultato che sembra ribadire una narrazione ormai consolidata: quella della città che lavora, che produce, che attira investimenti e che resta, nonostante tutto, il punto nevralgico del Paese. Ma quando si osservano i ritmi reali, il costo degli affitti, le difficoltà dei giovani e la trasformazione dei quartieri, la distanza tra analisi statistica e esperienza quotidiana diventa visibile come una crepa nel cemento. Il primato, dunque, c’è. Ma il significato di quel primato è molto più complicato di quanto indichi un punteggio perfetto.

Come Milano ha costruito un modello che continua a funzionare nelle classifiche mentre si incrina nella vita reale

Lo studio, arrivato alla sua ventisettesima edizione, si basa su una struttura molto ampia di 97 indicatori, un sistema che ingloba aspetti cruciali come lavoro, ambiente, sicurezza, reddito, infrastrutture, popolazione, turismo e welfare. In questo schema Milano ottiene un punteggio pieno, 1000 su 1000, un valore che conferma la sua capacità di resistere anche in un contesto economico instabile. La città resta il centro delle opportunità lavorative, dei servizi avanzati, dell’offerta culturale continua, della mobilità più efficiente d’Italia. Nella top 3 si posizionano ancora Bolzano e Bologna, che consolidano una qualità urbana sostenuta da economie dinamiche e amministrazioni che, nonostante le difficoltà, mantengono un grado di efficienza superiore alla media nazionale. Eppure il report evidenzia un problema che si ripete: la frattura crescente tra il centro-nord e il resto del Paese, con vaste aree del sud che rimangono indietro e non riescono a colmare gap strutturali ormai profondi.

Se si osservano i movimenti interni alla classifica, alcune province come Rimini e Ascoli Piceno scalano più di venti posizioni, segnale di una trasformazione in atto nei territori intermedi, mentre altre come Pordenone o Gorizia arretrano dopo anni di stabilità. Ma il nodo è altrove. Il nodo è che la Milano “misurata” dal report non coincide con la Milano vissuta, soprattutto dalle generazioni più giovani e da chi non dispone di un reddito alto. La città raccontata dai numeri è quella della produttività, dell’innovazione, di un mercato del lavoro che corre. La città raccontata dai cittadini è un’altra: affitti impossibili, stanze singole che superano stipendi medi, quartieri che mutano a una velocità che esclude, scelte lavorative che oscillano tra ambizione e precarietà.

Questo scarto è diventato ancora più evidente con l’avvicinarsi delle Olimpiadi 2026, una data che sta accelerando la trasformazione urbanistica e immobiliare della metropoli. Intere aree, come Milano Sud e i quartieri storicamente a reddito più basso, stanno vivendo una riqualificazione che sulla carta rappresenta un’opportunità, ma che nella pratica è uno dei processi di gentrificazione più bruschi degli ultimi anni. Le dinamiche sono chiare: chi ha risorse può partecipare a questa nuova fase, chi non le ha è costretto a spostarsi sempre più lontano. Milano resta una città verticale nelle ambizioni, nei ritmi e nell’immaginario, ma rischia di diventarlo anche nella disuguaglianza.

Perché il primato di Milano è diventato una domanda aperta più che una certezza e cosa dice davvero sulla città del futuro

Il report continua a dire che a Milano si vive meglio che altrove, ma ogni anno questo primato entra più in conflitto con i racconti di chi cerca di rimanerci. La crescita immobiliare prosegue in verticale, i nuovi quartieri si popolano di uffici, coworking e laboratori creativi, ma il costo della vita sale molto più velocemente dei salari. Il risultato è un paradosso che molti vivono in prima persona: la città delle opportunità diventa la città da cui si è costretti ad andare via, perché ciò che si guadagna non basta più a viverci. Per chi studia o lavora all’inizio del proprio percorso, Milano è sempre meno accessibile. È come se la città avesse accelerato oltre la velocità delle persone che la abitano.

Questo solleva una questione che va oltre il semplice calcolo dei parametri: chi può permettersi la Milano del 2025? Chi può dirigere una vita in una metropoli che spinge continuamente verso l’alto mentre molti, semplicemente, non riescono a tenere il passo? La tensione tra crescita e distanza sociale si riflette nel modo in cui il tessuto urbano cambia volto. Quartieri come Corvetto, una volta accessibili e vivi, sono diventati punti di investimento immobiliare che trasformano la comunità e spingono fuori chi ci abitava da anni. Gli indicatori del report misurano la qualità dei servizi, ma non misurano la tenuta emotiva di una città che rischia di perdere il suo cuore popolare e le sue storie più quotidiane.

Milano continua a brillare nei ranking, continua ad attrarre aziende, eventi globali e nuove forme di produzione culturale, ma allo stesso tempo si allontana dalla sua base. E forse è proprio questa la domanda che il report non può contenere: la Milano che vince nelle statistiche riuscirà a sostenere il peso del mito che ha costruito? O continuerà a correre lasciando indietro proprio coloro che l’hanno resa una città viva, faticosa, imperfetta e reale? È una domanda che non riguarda solo il 2025, ma il modo in cui Milano immagina sé stessa nel prossimo decennio.

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