La crescita della cultura dei prodotti fake tra gli adolescenti italiani sta assumendo dimensioni che sorprendono perfino gli esperti, perché mostra un cambiamento profondo nel modo in cui i giovani percepiscono autenticità, valore e rischio. Una nuova indagine condotta su oltre duemila studenti tra gli undici e i diciassette anni rivela un quadro variegato, fatto di scarsa consapevolezza, risparmio a tutti i costi e una certa indifferenza morale verso il fenomeno della contraffazione. I numeri parlano con chiarezza: un terzo dei ragazzi non è in grado di dare una definizione corretta di merce contraffatta, e molti di loro non associano l’acquisto di un prodotto fake a un danno reale, né personale né collettivo. È un tema che si intreccia con il digitale, con i social e con la necessità di sentirsi allineati a un’estetica contemporanea che chiede molto e spesso costa troppo. Ma ciò che emerge con forza è che per una fascia significativa di giovani l’idea di “falso” non coincide con l’illegalità: coincide col prezzo basso.
Perché i giovani considerano i fake un’opzione accettabile e quali sono le zone grigie che alimentano il fenomeno
Uno degli aspetti più sorprendenti dei dati è la percezione vaga della contraffazione: i ragazzi sanno che i fake esistono, molti li incontrano di continuo online o nei negozi, ma tendono a ridurre la questione a un discorso di convenienza economica. La priorità è risparmiare, ottenere un prodotto che “somiglia” all’originale, possedere un capo o un accessorio che richiama uno stile riconoscibile, anche se non è autentico. La maggior parte degli adolescenti vede il problema dei fake come un rischio relativo alla scarsa qualità, non alla salute, all’ambiente o alla legalità. Le batterie difettose nei dispositivi tecnologici, i componenti tossici in certi cosmetici, i rischi di incendio o malfunzionamento, restano aspetti lontani, quasi astratti, che non toccano l’immaginario quotidiano dei giovani consumatori. È come se la concretezza del risparmio immediato fosse più forte della percezione di un pericolo che appare remoto.
Altro punto critico riguarda la morale. La metà dei ragazzi percepisce l’acquisto di prodotti fake come un gesto discutibile, ma non come un reato. Questo crea una terra di mezzo dove tutto diventa giustificabile: il prezzo è troppo basso per essere vero, il venditore sembra poco affidabile, ma il dubbio che il prodotto possa essere autentico permette di aggirare il senso di colpa. Molti giovani ammettono che quel margine di incertezza diventa una scusa psicologica per procedere comunque con l’acquisto. È un meccanismo quasi automatico: “non so se è falso, quindi lo compro”, e se poi arriva un clone poco convincente lo si usa lo stesso, lo si tiene per abitudine o per imbarazzo, come se riconoscere l’inganno fosse un’ammissione troppo pesante. In tutto questo, il canale digitale gioca un ruolo decisivo. I social e i marketplace online sono i luoghi dove i fake circolano di più, dove i prezzi irrealistici si normalizzano e dove la promessa del “buon affare” spinge molti a ignorare regole e cautele.
Esiste poi un divario informativo importante: la maggior parte dei ragazzi non conosce le tattiche dei falsificatori, né i metodi per verificare l’autenticità di un prodotto. Le foto modificate, i profili fasulli, le recensioni costruite sono strumenti troppo sofisticati per chi non è abituato a leggerli con attenzione. Così il mercato del falso cresce proprio dove la consapevolezza è più fragile. I giovani percepiscono la contraffazione come un fenomeno globale, ma raramente la collegano alle conseguenze dirette che ricadono sui lavoratori, sulle imprese e sul sistema economico. Ed è questa distanza, fatta di mancata percezione e rimozione morale, che rende il fenomeno così difficile da contenere.

L’impatto dell’industria dei fake sull’economia italiana e le nuove misure per fermare una crescita fuori controllo
I dati sull’industria dei prodotti fake mostrano un quadro estremamente vasto che non riguarda solo mode passeggere adolescenziali, ma un vero sistema parallelo che negli ultimi anni ha ampliato le sue reti. Nei primi mesi del 2025 sono stati sequestrati oltre cinquecento milioni di articoli illegali, provenienti soprattutto da paesi extraeuropei con filiere molto competitive e difficili da tracciare. La moda, il tessile e gli accessori restano i settori più colpiti, e la perdita economica stimata supera il miliardo e mezzo di euro in mancati ricavi, senza considerare l’impatto sull’occupazione e sulla reputazione del Made in Italy, che da sempre è uno dei marchi culturali ed economici più riconosciuti nel mondo. Ogni prodotto falso che entra nel mercato sottrae valore a chi produce qualità reale, a chi investe in materiali e ricerca, a chi lavora in filiere controllate.
La reputazione dei brand è un altro punto fragile. L’aumento dei prezzi, legato alle oscillazioni economiche globali e alla complessità delle filiere produttive, ha spinto alcuni consumatori a cercare alternative più economiche, anche se illegali. La percezione che “tanto sono uguali” o che il falso sia un compromesso accettabile ha creato un terreno fertile per la contraffazione, che si alimenta proprio del desiderio di possedere simboli sociali a un costo irrealistico. Le nuove misure introdotte dalla legge sul Made in Italy cercano di intervenire in modo più netto: pene più severe, processi semplificati per distruggere i prodotti illegali, contrassegni ufficiali, passaporti digitali per tracciare la filiera. È un tentativo di riportare trasparenza in un mercato spesso opaco, dove la sofisticazione delle tecniche di falsificazione corre molto più veloce dei sistemi di controllo.
Il nodo resta culturale. I giovani che acquistano fake non lo fanno per sfida alla legalità, ma perché vedono il falso come un compromesso conveniente. Colmare questa distanza di consapevolezza è uno dei compiti più urgenti, perché solo comprendendo che dietro un prodotto contraffatto c’è un danno reale — economico, sociale, ambientale — diventa possibile cambiare atteggiamento. Le istituzioni tentano di intervenire, ma la mentalità si modifica solo se si crea un dialogo diretto con chi oggi vive nel flusso continuo di contenuti e offerte digitali. In questo senso, educare alla lettura critica, insegnare a riconoscere segnali di rischio, spiegare perché un prezzo troppo basso non è mai innocente, può trasformare l’acquisto in un gesto più consapevole. È una sfida lenta, ma necessaria per un Paese che ancora vede nel “falso vero” una scorciatoia pericolosa che colpisce tutti.






