Per mesi il dibattito su quanto l’intelligenza artificiale potesse influenzare il lavoro è rimasto teorico, oscillando tra chi annunciava un futuro di opportunità e chi temeva una sostituzione di massa. Ma negli Stati Uniti, dove le aziende del digitale sperimentano prima degli altri e dove la tutela del lavoratore è più debole rispetto all’Europa, i primi segnali concreti sono arrivati. E non sono rassicuranti. Il mese di ottobre ha mostrato una dinamica brusca: una parte crescente dei tagli al personale non viene più giustificata come riorganizzazione, ma come effetto diretto dell’adozione dell’IA generativa nei processi che prima erano svolti da persone. Una tendenza che suggerisce un’accelerazione inattesa, e che ora costringe a osservare con più attenzione chi sta perdendo il posto e perché.
Cosa è successo davvero negli Stati Uniti: i dati di ottobre e l’effetto dell’IA sugli impieghi dei colletti bianchi
Secondo il rapporto di Challenger, Gray & Christmas, la società che monitora i movimenti del mercato del lavoro e che ha pubblicato i numeri in assenza dei dati ufficiali bloccati dallo shutdown, gli Stati Uniti hanno registrato a ottobre 153mila posti di lavoro in meno. È il peggior ottobre dal 2003 e un dato superiore del 175% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Un colpo che sarebbe già significativo, ma che diventa ancora più pesante alla luce di un dettaglio inatteso: 31mila licenziamenti sono stati attribuiti all’adozione dell’IA. Significa che in appena trenta giorni la tecnologia ha provocato più perdite occupazionali rispetto all’intero periodo tra gennaio e settembre, durante il quale l’IA era stata indicata come causa di “soli” 18mila licenziamenti. È come se il processo di sostituzione avesse improvvisamente cambiato velocità.
Le prime aziende a colpire sono state proprio quelle che conoscono meglio il potenziale dell’IA. I grandi gruppi della Silicon Valley continuano a ridurre organici, e il conteggio tenuto da TechCrunch indica che solo quest’anno i licenziati del settore tecnologico hanno superato quota 22mila. Molte di queste aziende spiegano apertamente che funzioni interne svolte da impiegati vengono ora affidate ai modelli linguistici e ai sistemi automatizzati. La piattaforma Duolingo ha dichiarato nella primavera scorsa che non impiegherà più collaboratori esterni per compiti che l’IA esegue in modo più rapido e stabile. Salesforce, a settembre, ha tagliato 4mila persone nella divisione di supporto clienti affermando che l’IA può svolgere il 50% del lavoro. La società svedese Klarna, nel settore dei pagamenti, ha anticipato che grazie ai sistemi generativi può ridurre del 40% le mansioni umane.

Il caso di Meta è forse quello più emblematico. A ottobre è trapelata una nota interna che annunciava 600 licenziamenti nella divisione che lavora all’IA avanzata, una riduzione del 20% che alcuni interpretano come semplice ridimensionamento, mentre altri la leggono come una sorta di contraddizione interna: persone impegnate a sviluppare i sistemi che, alla fine, potrebbero sostituirle. Nel frattempo, Amazon ha tagliato 14mila posizioni senza citare apertamente l’IA, ma gli osservatori del settore hanno interpretato la decisione come un effetto della crescente automazione.
Lo scenario, tuttavia, è complesso. Alcuni esperti come Fabian Stephany dell’Oxford Internet Institute sostengono che l’IA sia solo una “scusa conveniente” per giustificare tagli decisi per ragioni economiche, mentre altri ritengono che i veri effetti dell’automazione stiano emergendo proprio ora. I dati raccolti dalla piattaforma Visier, che ha analizzato le carriere di 2,4 milioni di persone, mostrano che il 5,3% dei lavoratori licenziati viene riassunto dalla stessa azienda che li ha allontanati, segno che il confine tra risparmio e innovazione è ancora incerto. Ciò che appare chiaro, però, è che il mondo del lavoro sta entrando in una fase di transizione rapida, nella quale i ruoli più ripetitivi e gli impieghi di ufficio rischiano di essere i primi a modificarsi o sparire.
Tra allarmi, scetticismi e previsioni globali: come potrebbe evolvere il rapporto tra IA e lavoro
Il conflitto tra lavoro umano e lavoro automatizzato è in pieno svolgimento, ma non ha ancora trovato un equilibrio. Le aziende tecnologiche stanno spingendo sull’IA per ragioni di efficienza, ma il quadro globale è lontano dall’essere definito. Il Future Jobs Report 2025 del World Economic Forum prova a immaginare il futuro: entro il 2030 potrebbero sparire 92 milioni di posti di lavoro, ma allo stesso tempo potrebbero nascerne 170 milioni legati a competenze tecniche avanzate. Il problema non è quindi il numero assoluto dei posti, ma lo spostamento tra settori e la distanza tra i lavori che si perdono e quelli che emergono. Un punto su cui insiste lo stesso WEF, spiegando che «non si tratta di scambi diretti negli stessi luoghi con le stesse persone», ma di un divario che rischia di lasciare fuori milioni di persone non riqualificate in tempo.
Ed è proprio questa la preoccupazione più concreta: molte professioni che l’IA sta iniziando a svolgere richiedono competenze che non sempre possono essere acquisite rapidamente, e in particolar modo gli impieghi di routine – documentazione, supporto clienti, revisione dati, attività amministrative – sono i primi a essere colpiti. Le storie dei lavoratori “spiazzati” dai tagli si sommano e spesso rimangono invisibili dietro le cifre globali. Il caso degli Stati Uniti evidenzia come i sistemi produttivi stiano modificando la loro struttura con una rapidità difficile da gestire, soprattutto laddove la protezione del reddito e la formazione continua sono più deboli.
Gli esperti ricordano che sarà necessario tempo per capire se questa fase rappresenti un picco momentaneo o l’inizio di un nuovo ordine del lavoro. Alcuni osservatori credono che molti tagli siano transitori e che l’IA sia usata per riorganizzazioni già previste, mentre altri ritengono che il passo indietro non sia più possibile. Se lo sviluppo rallenterà una volta raggiunti modelli più maturi, il quadro potrebbe riequilibrarsi, ma oggi la tecnologia viaggia più veloce delle norme e delle politiche di protezione. E dietro i 31mila licenziamenti causati dall’IA in un solo mese rimangono le storie personali, quelle che non finiscono nei report ma che mostrano con chiarezza cosa significhi essere considerati improvvisamente “non necessari”.






