È il 1962 e un giovane medico interrompe il tirocinio a New York per prendere servizio in una base che gli viene descritta come una semplice stazione di ricerca sotto la neve. Invece, quello che trovò era una struttura sotterranea complessa, costruita sotto la calotta glaciale della Groenlandia. La tensione tra Washington e Mosca non era un mistero: la Guerra Fredda spingeva gli Stati a cercare posizioni strategiche, e il progetto che avrebbe preso forma in quel lembo di ghiaccio aveva obiettivi militari ben precisi, oltre alla facciata scientifica. Lo raccontano documenti declassificati e testimonianze di chi vi lavorò: Camp Century non era solo un avamposto di ricerca, ma la copertura di un piano molto più ambizioso e riservato.
La città sotto il ghiaccio
Costruire una vera e propria città sotto il ghiaccio fu un’operazione ingegneristica fuori dal comune. Tra il 1960 e il 1964 macchine dotate di pale rotanti e trivelle modulari scavarono una rete di circa due dozzine di tunnel, dove furono sistemati alloggi, laboratori, una mensa e servizi comuni. Gli edifici prefabbricati vennero posti in cavità artificiali, mentre un reattore nucleare venne trasportato per oltre 222 chilometri sulla calotta per fornire energia alla base. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è la complessità logistica di mantenere in funzione una stazione in condizioni artiche: rifornimenti, smaltimento dei rifiuti e ventilazione erano problemi quotidiani.
La missione ufficiale era la ricerca: studio della geofisica del ghiaccio, monitoraggio dei campi magnetici attorno al polo nord e test su tecniche come l’inseminazione delle nuvole per mitigare le bufere. Tuttavia, dietro questa facciata pubblica si celava il programma Iceworm, pensato per nascondere siti di lancio missilistico più vicini all’Unione Sovietica. Un dettaglio che molti sottovalutano è che la scelta di scavare sotto la calotta rispondeva anche a valutazioni strategiche sulla vicinanza geografica e sulla protezione dalle intemperie.

Chiusura, responsabilità e eredità
Camp Century rimase operativo ininterrottamente dal 1960 al 1964 e poi soltanto durante l’estate fino alla sua chiusura definitiva avvenuta nel 1967. Ufficialmente la base serviva a valutare la fattibilità di un abitare prolungato sulla calotta, ma gli sviluppi del progetto Iceworm e i costi logistici portarono alla sua dismissione. Nel tempo sono emerse domande sulla gestione dei materiali lasciati sotto il ghiaccio e sulle possibili conseguenze ambientali, soprattutto con il ritiro dei ghiacci che modifica la stabilità dei siti artici.
Secondo studi e reportage successivi, la presenza di infrastrutture e rifiuti in aree così remote solleva interrogativi pratici: come recuperare o mettere in sicurezza strutture se la calotta si muove o si scioglie? Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è la facilità con cui il ghiaccio può nascondere modifiche profonde al paesaggio, rendendo complicata ogni operazione di bonifica. Un aspetto che molti sottovalutano è la responsabilità di chi lasciò impianti e materiali in un ambiente che non è immobile; questo rimane un punto di discussione per governi e ricercatori nel Nord Europa e oltre.
La vicenda di Camp Century è quindi sia una pagina di storia militare della Guerra Fredda, sia un caso di studio sulla gestione dei legati lasciati in regioni polari. Per chi studia il clima e la politica artica, la base rimane un monito concreto: infrastrutture progettate in un contesto geopolitico possono avere conseguenze a lungo termine che richiedono valutazioni tecniche e politiche accurate.





