Un binario affollato, una piazza spoglia, la luce inclinata che attraversa una teca: è questa la sensazione che portano molte delle nuove mostre in giro per l’Italia in questi mesi. Non si tratta di eventi pensati solo per gli addetti ai lavori, ma di programmi che mettono in rapporto città diverse, collezioni pubbliche e piccole gallerie locali, trasformando lo spazio espositivo in un luogo di verifica concreta delle idee. Chi visita il MART a Rovereto o il Centro Culturale Candiani a Mestre si trova davanti a opere che raccontano traiettorie individuali e movimenti più ampi, mentre luoghi come Palazzo Bonaparte o il Filatoio di Caraglio offrono cornici storiche che cambiano la percezione del lavoro esposto. Un dettaglio che molti sottovalutano: la scelta degli spazi influisce sul modo in cui leggiamo la storia dell’arte, e chi vive in città lo nota ogni stagione.
Retrospettive e maestri del Novecento
Il panorama espositivo italiano ospita quest’anno alcune retrospettive che puntano a rimettere in luce percorsi individuali e correnti collettive del secolo scorso. A Rovereto il MART propone una rassegna su Eugene Berman che attraversa dipinti, carte e documenti e mostra come il linguaggio tra surrealismo e classicità abbia modellato una visione del mito in chiave moderna; la mostra resta aperta fino al marzo successivo, offrendo tempo per una visita ragionata. A Mestre, il percorso dedicato a Edvard Munch mette a confronto l’artista norvegese con voci europee, osservando come la rappresentazione dell’angoscia abbia influenzato la nascita dell’Espressionismo europeo; è un’occasione per verificare il dialogo tra incisione e pittura, tra materia e emozione.
A Roma, Palazzo Bonaparte ospita una nutrita selezione dedicata a Alphonse Mucha, dove manifesti, illustrazioni e oggetti mostrano la trasformazione della grafica in una forma di arte totale, con attenzione al rapporto tra immagine e arredo. A Pistoia e Parma il progetto su Giacomo Balla riunisce opere e documenti che ricostruiscono il percorso dalla divisione del colore alle ricerche sul movimento, rivelando il ruolo della scienza e della sperimentazione nel Futurismo. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è la frequente sovrapposizione tra ricerca d’archivio e allestimento contemporaneo, una strategia che valorizza materiali d’archivio.

Scultura, fotografia e paesaggi locali
In altre sedi il focus si sposta su materia, corpo e territorio. A Bologna il CUBO presenta un’antologica su Beverly Pepper che intreccia land art e scultura urbana: opere in corten e disegni mostrano come l’intervento pubblico diventi componente del lavoro artistico, e la curatela mette in evidenza il rapporto tra natura e architettura. Al Filatoio di Caraglio, nel Piemonte industriale, la rassegna su Helmut Newton espone oltre cento fotografie, dall’iconografia di moda ai ritratti che esplorano potere e rappresentazione del corpo femminile; il percorso è costruito per evidenziare contrasti tra scatto pubblicitario e immagine artistica.
Nel Salento la Gigi Rigliaco Gallery celebra venticinque anni di pratica fotografica con un progetto collettivo che indaga cambiamenti sociali e paesaggistici tra il 2000 e il 2025: il lavoro qui è strettamente connesso a temi di memoria e territorio, e chi osserva nota il legame tra architettura rurale e trasformazioni demografiche. A Napoli, al Castel Nuovo, la mostra su Luigi Gentile propone una visione intima della città, dove il colore e la figurazione raccontano vicoli, albe sul mare e identità in trasformazione. Un fenomeno che molti notano solo d’inverno è la diversa affluenza dei pubblici locali rispetto ai turisti, elemento che incide sulla lettura critica delle mostre.

Sperimentazioni contemporanee e territori dell’invisibile
Accanto alle grandi rassegne storiche, esiste una produzione espositiva che interroga tecnologie, pratiche spirituali e partecipazione. A Venezia la A plus A Gallery ospita il progetto di Ahmet Öğüt che mette in discussione il rapporto tra intelligenza artificiale e creatività umana: installazioni e progetti partecipativi ribaltano la centralità dell’autore, proponendo errori e imprevisti come risorse critiche. A Milano, a Palazzo Morando, la mostra intitolata a Fata Morgana costruisce un atlante di pratiche mediali e mistiche, affiancando opere di Hilma af Klint a ricerche sulla spiritualità visiva; qui il lavoro curatoriale lega misticismo e pratiche emancipatorie dove il confine tra arte e rituale si assottiglia.
Questi progetti mostrano come le mostre in Italia, dalle Alpi alle isole, si strutturino lungo due direttrici: recupero storico e sperimentazione critica. L’effetto pratico è che visitare una rassegna non è solo vedere opere, ma verificare scelte espositive e politiche culturali. Un dettaglio utile per chi organizza un itinerario: molte sedi mantengono aperture estese nei mesi freddi, e lo scaglionamento delle visite permette di mettere a confronto progetti diversi senza fretta. L’insieme delle proposte evidenzia una tendenza chiara: il territorio mantiene un ruolo centrale nella costruzione del racconto artistico, e i pubblici locali stanno ridefinendo priorità e percorsi di fruizione.






