Nel 2025 andare a mangiare fuori è diventato per molti un gesto da ponderare, qualcosa che non appartiene più alla normalità ma entra nella sfera dei piccoli lussi, di quei piaceri che si scelgono con cura. Non è una questione di mancanza di voglia, né di tempo, perché la cultura della cena fuori rimane un pilastro della socialità italiana. È il costo, ormai, a fare la differenza: il coperto più caro, il caffè aumentato, piatti che pesano sui bilanci mensili più di quanto accadesse appena pochi anni fa. Lo scenario globale racconta la stessa cosa, tanto che anche una delle voci più autorevoli del giornalismo economico internazionale ha definito questa nuova tendenza come “eat-at-home economy”, cioè un’economia domestica del mangiare, un orientamento crescente verso la cucina casalinga o il delivery, mentre il ristorante diventa sempre più un’occasione selettiva. È una fotografia che si sovrappone perfettamente alla realtà italiana, dove l’inflazione e il calo del potere d’acquisto hanno reso ogni uscita un calcolo attento, quasi un compromesso tra desiderio e possibilità.
Prezzi in aumento, salari fermi e nuove abitudini: perché gli italiani escono meno e scelgono di più
Il calo della frequenza con cui si va al ristorante non è semplicemente una reazione ai prezzi che, rispetto al periodo pre-pandemia, sono aumentati in media del 30%. È una spirale molto più complessa, alimentata da una combinazione di costi di gestione più alti, salari che non seguono lo stesso ritmo e una sensibilità sociale cambiata negli ultimi anni. I ristoratori si trovano schiacciati tra la necessità di sostenere spese sempre più pesanti – dalle materie prime all’energia, fino alle retribuzioni del personale – e il rischio di perdere la clientela se i prezzi salgono troppo. Ma l’aumento delle tariffe è inevitabile, e proprio questo genera un meccanismo che allontana ulteriormente una parte della popolazione dal consumo fuori casa, creando un circolo che appare difficile da spezzare.
La dinamica non riguarda solo l’Italia. In uno studio condotto nel 2025 negli Stati Uniti, il 37% degli americani dichiarava di andare al ristorante meno spesso rispetto all’anno precedente, percentuale che raggiunge il 44% tra le famiglie dal reddito più basso. È un segnale globale che indica come il valore sociale della cena fuori sia stato sostituito da una logica più prudente, quasi difensiva, figlia di anni segnati dalla pandemia e dall’incertezza economica.

Nel nostro Paese la situazione riflette un’evoluzione che affonda le radici negli ultimi anni. Le famiglie italiane, nel 2024, hanno speso circa 85 miliardi per consumi alimentari fuori casa, una cifra che rimane però al di sotto dei livelli del 2018 e 2019. Oltre all’inflazione, incide il dato più amaro di tutti: a settembre 2025 le retribuzioni reali risultano ancora inferiori dell’8,8% rispetto a gennaio 2021. Nel concreto significa che gli stipendi valgono meno e che chi arriva a fine mese deve scegliere con molta più attenzione come e dove spendere.
Questo scenario ha inevitabilmente favorito l’esplosione del mercato del delivery, che nel 2024 ha raggiunto un fatturato di 4,6 miliardi con una crescita dell’8% sull’anno precedente. Piattaforme come Just Eat e Glovo sono ormai radicate sul territorio e quest’ultima ha registrato perfino una crescita record del 33% negli ordini. Ma ciò che guida il settore non sono le esperienze di alta cucina, bensì i pasti economici, panini, pizze, pollo fritto, bevande veloci. È il fast food a segnare un incremento del 24% rispetto al 2019, una scelta dettata dalla necessità più che dal desiderio. Parallelamente, molte catene hanno iniziato a vendere nei supermercati le versioni “pronte” dei propri piatti, cercando un contatto diverso con un pubblico che continua ad apprezzare quel tipo di cucina, ma non sempre può permettersi di viverla al ristorante.
Il mutamento è culturale prima ancora che economico. Chi lascia la propria casa per andare a cena fuori oggi lo fa con una selettività molto più marcata: si esce meno, ci si vede meno, e quando succede deve essere per qualcosa che davvero “vale la serata”. È un cambio di paradigma nato anche durante la pandemia, quando milioni di persone hanno imparato a cucinare meglio, grazie ai tutorial, ai corsi online, alle piattaforme digitali. Come ha osservato un noto manager della ristorazione britannica, le aspettative dei clienti oggi sono più alte che mai: se si sceglie di spendere, si vuole qualità, atmosfera, una cura che giustifichi il prezzo. E questo ha spostato il baricentro dell’esperienza gastronomica verso una dimensione più sporadica ma più intensa.
Un ristorante non più quotidiano: il ritorno del “lusso piccolo”, i bilanci familiari e la selezione che pesa sulle abitudini di tutti
In questo nuovo scenario socioeconomico, il ristorante diventa una sorta di evento, e ogni scelta viene pesata con una meticolosità impensabile fino a qualche anno fa. Non è più solo un luogo dove mangiare bene, ma una parentesi che deve competere con una crescente competenza culinaria casalinga, con il comfort del proprio divano, con i ritmi della quotidianità cambiata. È come se l’uscita assumesse un carattere quasi cerimoniale, un momento da organizzare, preparare, valutare in anticipo, perché ogni volta deve giustificare un costo che pesa. Una cena in trattoria, un tempo abitudine semplice e popolare, oggi può incidere come un piccolo lusso in un mese già segnato da mutuo, bollette, spesa alimentare e un’inflazione che non accenna a frenare.
È significativo osservare come questo cambiamento non sia percepito allo stesso modo da tutte le fasce della popolazione. Per chi ha un reddito medio, magari con un figlio, la questione è molto concreta: anche uscire un paio di volte al mese può significare rinunciare a qualcos’altro. Nel frattempo, i supermercati e le grandi catene sfruttano questa tendenza proponendo piatti pronti che imitano le ricette dei ristoranti, cercando di colmare la distanza tra desiderio e possibilità. È un modello che si è diffuso rapidamente nel Regno Unito e che sta iniziando a prendere piede anche in Italia, dove la cucina casalinga sta vivendo una sorta di rinascimento legato a necessità economiche e nuove competenze maturate negli ultimi anni.
In questo contesto, parlare di “selettività culturale” rischia di essere riduttivo. Certo, le persone scelgono di più, pretendono di più e vivono l’uscita come un momento da ricordare. Ma il motivo fondamentale è molto più semplice: molti italiani non possono più permetterselo con la stessa frequenza di prima. E questo, in un Paese dove il cibo è sempre stato un elemento democratico, un modo per unire, per condividere, per passare del tempo insieme, è forse il segnale più amaro del nostro presente. Si esce meno, si sceglie di più, e ogni piatto, ogni tavolo, ogni serata pesa. Il ristorante, da spazio quotidiano, si è trasformato in una parentesi di valore, quasi un lusso piccolo ma significativo nella vita di tutti i giorni.






