Osservare il cielo profondo dà sempre l’impressione di guardare un passato ordinato: stelle e galassie che raccontano la storia dell’Universo. Eppure le misure più precise ci mettono di fronte a una contraddizione apparente: a quasi 13,8 miliardi di anni dal Big Bang riusciamo a vedere regioni poste a oltre 46,1 miliardi di anni luce da noi. A prima vista sembra violare una regola fondamentale della fisica: niente può superare la velocità della luce nel vuoto, pari a 299.792.458 m/s. La soluzione a questo paradosso non richiede miracoli, ma un cambio di prospettiva: è lo spazio stesso che si espande, non gli oggetti che viaggiano attraverso di esso. Un dettaglio che molti sottovalutano è che distanza e tempo nell’Universo non sono fissi come ce li immaginiamo.
L’espansione e il limite di velocità
La frase “nulla può muoversi più veloce della luce” vale ancora, ma va letta con attenzione. Quel limite riguarda il moto di particelle e segnali attraverso lo spazio locale; non impedisce al tessuto dello spaziotempo di estendersi. In termini pratici, quando diciamo che una galassia è lontana milioni o miliardi di anni luce non intendiamo la sua velocità nello spazio locale, quanto piuttosto la distanza che lo spazio tra noi e la galassia ha accumulato con l’espansione. I cosmologi usano la costante di Hubble per quantificare questa espansione: oggi la misura è compresa tra 66–74 km/s/Mpc, a seconda dei metodi. Questo numero indica quanto velocemente aumenta la distanza per ogni megaparsec aggiuntivo; non è una velocità “locale” di un oggetto.

Quando guardiamo una sorgente distante, vediamo la luce così com’è al suo arrivo: l’onda ha subito effetti locali (gravitazione, moti peculiari) e l’allungamento dovuto all’espansione. Il fenomeno dell’allungamento della lunghezza d’onda è ciò che chiamiamo redshift, e lo misuriamo direttamente. Un dettaglio che molti sottovalutano è che non stiamo misurando una velocità istantanea ma un effetto cumulativo prodotto nel corso di miliardi di anni.
Cosa intendiamo per “lontano” e cosa è davvero raggiungibile
Il modo in cui parliamo di distanze cosmiche richiede una precisazione: c’è la distanza alla luce emessa, la distanza percorsa dalla luce e la distanza “comovente” istantanea se congelassimo l’espansione. La galassia più lontana osservata con buona certezza, GN-z11, ha emesso la sua luce circa 13,4 miliardi di anni fa ma si trova ora a oltre 30 miliardi di anni luce; la misura precisa dipende dal modello cosmologico usato. Nel migliore dei casi la nostra sfera di osservabilità ha raggio circa 46,1 miliardi di anni luce. Nessuna di queste cifre contraddice la relatività: sono il risultato della metrica dello spazio in espansione.
Esiste anche un confine pratico alla nostra capacità di interazione: oggetti oltre una certa distanza non potranno mai essere raggiunti neanche con segnali alla velocità della luce. Per l’attuale modello cosmologico quella soglia è nell’ordine di decine di miliardi di anni luce (spesso citata intorno a 18 miliardi di anni luce per certe definizioni di raggiungibilità), mentre il cosiddetto limite di visibilità futura — la distanza massima di oggetti la cui luce ci raggiungerà un giorno — è stimata attorno a 61 miliardi di anni luce. Un fenomeno che in molti notano solo nei modelli è che, con l’espansione accelerata, regioni che oggi vediamo potrebbero diventare per sempre non comunicanti in futuro.
Perché questo non è una violazione ma una conseguenza
La chiave sta nel distinguere il moto locale dal cambiamento della metrica spaziale. Le particelle con massa non possono raggiungere la velocità della luce nel loro intorno locale; le onde elettromagnetiche viaggiano alla velocità c. Tuttavia, lo spazio tra due punti può crescere a una velocità effettiva superiore a c senza che nulla violi le leggi fondamentali. È lo stesso concetto che spiega perché la luce emessa da regioni molto lontane impiega miliardi di anni e arriva comunque con un redshift elevato: il percorso è stato allungato dall’espansione.
Questo ha conseguenze concrete per l’astronomia e per il futuro dell’osservazione: molte galassie con cui potremmo interagire non saranno mai raggiungibili, e nel corso delle epoche cosmiche la nostra finestra osservativa si restringerà alle strutture legate gravitazionalmente alla Via Lattea. Un dettaglio che molti sottovalutano è che questa è sia una limitazione tecnica sia un’opportunità per studiare la fisica dell’universo primordiale, usando la luce che ci ha impiegato miliardi di anni a raggiungerci come documento di condizioni lontane.






