Una fila di zucche arancioni sul marciapiede, segnali fatti di carta e un profumo di cannella che sale dalle vetrine: è un’immagine che in molte città europee segnala l’avvio della stagione fredda. Quel quadro, però, non è soltanto estetica commerciale. Il fenomeno moderno è cominciato anche per ragioni di mercato — Starbucks è diventato emblematico nel 2003 con un prodotto che ha trasformato la zucca in simbolo stagionale — ma la relazione tra questo ortaggio e significati ambivalenti ha radici molto più antiche. Dietro la decorazione, dietro la zucca intagliata nei cortili, c’è una storia che attraversa pratiche agricole, rituali popolari e immagini letterarie, e che spiega perché la zucca venga spesso vista come vuota, effimera o persino minacciosa.
Dalle zucche contenitori alla moda stagionale
Prima della circolazione delle varietà americane in Europa, l’ortaggio più comune era la Lagenaria siceraria, una pianta che non si coltivava principalmente per la carne del frutto ma per la sua capacità di trasformarsi in strumenti utili. I frutti venivano svuotati, asciugati e impiegati come contenitori, mestoli e bottiglie improvvisate; la pratica era diffusa nei giardini e negli orti del continente mediterraneo e dell’Europa settentrionale. Lo raccontano testi antichi: a occuparsi di queste piante furono autori come Plinio il Vecchio e poeti agrari che ne segnalarono l’uso quotidiano, più pratico che gastronomico.
Questa funzione d’uso ha lasciato un segno nella percezione collettiva: la zucca come oggetto svuotato, utile ma priva di ricchezza interna. Nel corso dei secoli quella percezione ha convissuto con l’arrivo delle cucurbite americane dopo il 1492, varietà più dolci e adatte all’alimentazione. Un dettaglio che molti sottovalutano: il passaggio tra zucca “strumento” e zucca “cibo” è avvenuto lentamente e in modo diseguale nelle regioni europee, e ancora oggi nelle campagne il riferimento alle zucche come utensili è un ricordo tangibile.

Racconto popolare e linguaggio
La metafora della zucca vuota entra nel discorso morale e letterario come esempio di vanità. Lo mostra Dante Alighieri nel Convivio, dove la zucca diventa paragone per chi appare grande all’esterno ma è privo di sostanza dentro. Anche la letteratura per l’infanzia contribuisce a questa immagine: Hans Christian Andersen propone nella fiaba de “La zucca e il palo di fagioli” il contrasto tra apparenza e vitalità, con la zucca che si rivela vuota mentre il fagiolo germoglia.
Nel lessico inglese il termine pumpkin ha avuto sfumature peggiorative, usato in passato per deridere persone percepite come inutili o inette; allo stesso tempo, nelle pratiche quotidiane, è stato ristrutturato in termini affettivi, diventando un nomignolo tenero per i bambini. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è proprio questo scivolamento semantico: la parola conserva tracce di disprezzo ma si è ammorbidita per effetto di consuetudini festive e marketing culturale.
Questa doppia valenza — critica e affettuosa — rende la zucca un segnale ambiguo nel linguaggio comune: simbolo di superficiale apparenza per alcuni, icona domestica e rassicurante per altri. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è quanto le abitudini rurali abbiano contribuito a mantenere vivo il significato originario, anche quando le campagne si sono trasformate.

Lanterne, riti popolari e immaginario moderno
La relazione tra zucca e morte o transizione trova un’espressione potente nelle lanterne intagliate della tradizione anglosassone: il Jack-o’-Lantern nasce da leggende irlandesi in cui una figura condannata a vagare usa una radice cava o una rapa per portare luce. L’immigrazione verso gli Stati Uniti ha trasferito il rito e lo ha adattato alle grandi zucche locali, reso poi celebre nel contesto di Halloween come simbolo del confine tra vivi e morti. La resistenza del simbolo è visibile anche nella letteratura popolare: personaggi come Jack Pumpkinhead nel seguito del Mago di Oz incarnano l’idea di corpo vivente dalla testa effimera, soggetta a decomposizione e sostituzione.
Allo stesso tempo la zucca ha assunto ruoli inattesi nella cultura dell’infanzia: nelle strisce dei Peanuts la figura dell’attesa e della fede è rappresentata dal Il Grande Cocomero, traduzione che ha preso vita propria in Italia come immagine dell’aspettativa tenace. Un fenomeno che molti osservatori collegano alla capacità delle immagini popolari di rinegoziare i simboli: la stessa zucca può essere lanterna minacciosa, carrozza magica o dono non mantenuto.
La conclusione pratica è che la zucca rimane un vettore culturale polivalente. Nella vita quotidiana delle città italiane e nelle campagne, la sua presenza continua a misurare la distanza tra uso pratico, significato simbolico e operazione commerciale. Un dettaglio realistico: nelle sagre locali la zucca è spesso esposta sia come ornamento sia come ingrediente, segnalando una sovrapposizione di ruoli che molti italiani stanno già osservando nelle proprie strade e nelle proprie tavole.






