Pompei, 6 dicembre 2025 – Nuovi scavi nella villa di Civita Giuliana, situata nel Parco Archeologico di Pompei, hanno rivelato dettagli sorprendenti sulla dieta degli schiavi romani, che risulta essere molto più equilibrata e nutriente di quanto si fosse immaginato fino a oggi. Gli studi più recenti mostrano come fave, pere e mele fossero parte integrante dell’alimentazione quotidiana degli schiavi, con l’obiettivo di mantenere la loro efficienza lavorativa.
Una dieta sorprendentemente “healthy” per gli schiavi di Pompei
Le ricerche archeologiche, finanziate con 140 mila euro nell’ambito della Campagna Nazionale prevista dalla legge di bilancio 2024 e promossa dal Ministero della Cultura, hanno portato alla luce anfore contenenti fave, alcune ancora parzialmente piene, e un grande cesto con frutta fresca, probabilmente pere, mele o sorbe. Questi ritrovamenti provengono dal primo piano del quartiere servile di una delle più grandi ville di Civita Giuliana.
Gli schiavi, uomini, donne e bambini, abitavano in celle di circa 16 metri quadrati, dove condividevano fino a tre letti. Per il proprietario era fondamentale mantenere in buona salute questi lavoratori, il cui valore economico si aggirava intorno a migliaia di sesterzi. Proteine e vitamine erano quindi essenziali per sostenere la loro produttività, soprattutto in ambito agricolo.
L’alimentazione integrava quindi il consumo di legumi e frutta, fondamentali per evitare malnutrizione e malattie. Non è un caso che in alcune situazioni gli schiavi pompeiani potessero nutrirsi meglio di certe famiglie libere, costrette a vivere spesso di espedienti o a chiedere assistenza ai notabili cittadini.
Gestione rigorosa e funzionale degli alimenti
La scelta di conservare i viveri al piano superiore della villa rispondeva a un duplice scopo: proteggere il cibo dai roditori, molto diffusi al pian terreno privo di pavimentazione adeguata, e organizzare con rigore i razionamenti quotidiani. Le porzioni erano probabilmente differenziate in base a ruolo, età e sesso, e la sorveglianza era affidata ai servi di maggiore fiducia, come indicato da studi precedenti sul complesso servile.
Gli archeologi hanno stimato che per sostenere una cinquantina di lavoratori, corrispondenti alla capienza del quartiere, fossero necessari circa 18.500 chili di grano all’anno, coltivati su un’estensione di 25 ettari.
Il l’assenza di cibi ultraprocessati e di junkfood, in contrapposizione all’alimentazione equilibrata, fanno sì che in parte la dieta degli schiavi romani fosse più “healthy” della nostra.






