Come si diventa johatsu
Sparire in uno dei Paesi più tecnologici e connessi al mondo sembra impossibile, ma non lo è. I johatsu si affidano quasi sempre ai yonigeya, agenzie clandestine note come “traslocatori notturni”. Queste imprese operano al riparo dalle luci del giorno: arrivano di notte, caricano poche valigie, fanno uscire il cliente di casa senza che nessuno se ne accorga e lo portano a centinaia di chilometri di distanza.
Il pacchetto può includere un nuovo appartamento, contatti per lavori saltuari, consigli su come vivere senza attirare l’attenzione e, nei casi più estremi, persino falsi documenti o chirurgia estetica. Il costo varia molto: da poche migliaia a decine di migliaia di euro, a seconda della complessità della fuga.
Perché si sceglie di evaporare
Le ragioni che portano a diventare johatsu affondano nella cultura giapponese, dove vergogna e onore hanno un peso enorme.
- Debiti e fallimenti economici: per chi non riesce a ripagare un prestito o per un imprenditore fallito, la scomparsa è vista come un’alternativa alla rovina pubblica.
- Problemi familiari: molte donne scappano da matrimoni violenti o da pressioni insostenibili, come l’obbligo di occuparsi da sole di parenti anziani.
- Stress lavorativo: in una società segnata dal karoshi, la morte per troppo lavoro, alcuni decidono di chiudere tutto e sparire per sfuggire al logorio.
La cultura giapponese, che valorizza il sacrificio e il successo collettivo, lascia poco spazio al fallimento personale. Per questo evaporare diventa, per alcuni, l’unica via di fuga.

Dove finiscono i johatsu
Chi scompare si rifugia spesso in quartieri ai margini, come Kamagasaki a Osaka o Sanya a Tokyo. Qui il passato non interessa a nessuno: si vive alla giornata, si trovano lavori saltuari pagati in contanti e ci si confonde tra altre ombre senza storia. L’anonimato diventa una protezione, anche se significa condurre una vita dura, in pensioni economiche e senza documenti ufficiali.
Le storie di chi ha scelto il silenzio
Dietro ogni johatsu c’è una vicenda personale fatta di dolore e di scelta estrema. C’è la storia di Kenji, un uomo di 45 anni che, dopo aver accumulato debiti a causa di un investimento sbagliato, non riusciva a confessare il fallimento alla famiglia. Una notte, salì su un furgone dei yonigeya con una sola valigia. Da allora vive come operaio a giornata a Osaka, lontano dai figli e dalla moglie che non hanno mai smesso di cercarlo.
Un’altra vicenda riguarda una giovane donna che, stanca delle continue violenze del marito, decise di affidarsi a un’agenzia per fuggire. Oggi vive in una piccola città del nord del Giappone, dove lavora come cameriera. Per lei evaporare non fu un abbandono, ma una salvezza.
Il dolore di chi resta
Se per chi scompare il johatsu è una rinascita, per le famiglie è un trauma che non guarisce. Non sapere se il proprio caro è vivo, se soffre o se è felice diventa un tormento quotidiano. Molti non denunciano nemmeno la scomparsa per vergogna, e questo rende difficile avere statistiche ufficiali. Si stima, però, che ogni anno siano decine di migliaia i giapponesi che scelgono questa via.
I johatsu rappresentano il lato nascosto del Giappone: dietro l’immagine di efficienza e perfezione si celano solitudini, fallimenti e fragilità che spingono a una scelta radicale. Evaporare, per alcuni, è un atto disperato, ma anche l’unico modo per riconquistare la libertà di esistere.






