La candidatura della cucina italiana a patrimonio culturale immateriale dell’Unesco ha appena superato il primo passaggio cruciale, quello della valutazione tecnica affidata all’organo consultivo che analizza ogni dossier presentato dagli Stati membri. Il responso arrivato questa mattina è positivo e segna un momento importante per tutto il panorama gastronomico nazionale, perché la tradizione italiana potrebbe diventare la prima cucina al mondo a essere riconosciuta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità nella sua interezza. Ora il dossier passerà al vaglio del Comitato intergovernativo che si riunirà dall’8 al 13 dicembre a New Delhi, dove verrà presa la decisione definitiva, una scelta che avrà un peso non solo simbolico ma anche culturale per il modo in cui il mondo guarda al cibo italiano.
Come nasce il dossier della cucina italiana e perché il primo sì dell’Unesco cambia il dibattito mondiale sul cibo
La valutazione tecnica pubblicata dall’Unesco rappresenta un passaggio centrale in un percorso iniziato anni fa e guidato da un gruppo di studiosi, chef, istituzioni e realtà culturali italiane che hanno lavorato per definire cosa significhi davvero “cucina italiana” nel linguaggio dell’Organizzazione. Il dossier è stato curato da Pier Luigi Petrillo, professore della Luiss Guido Carli e tra i massimi esperti mondiali di politiche del patrimonio immateriale, che ha sottolineato come la relazione degli esperti evidenzi un documento “coerente con gli obiettivi dell’Unesco”. Nelle loro analisi, infatti, gli specialisti non si limitano a valutare la qualità del contenuto ma verificano la capacità di un Paese di dimostrare che un elemento culturale sia vivo, trasmesso di generazione in generazione, condiviso da una comunità e riconosciuto come parte della propria identità.
Nel caso della cucina italiana, il dossier presenta un mosaico che va oltre la somma delle ricette, toccando aspetti come la convivialità, il rapporto con i territori, la tradizione agricola e regionale, la trasmissione familiare e professionale delle competenze, l’impatto sociale e culturale che il cibo ha nella vita quotidiana. Cucinare e mangiare in Italia non è solo un atto privato, ma un rito che connette generazioni, territori e patrimoni diversi in una rete che da secoli si rinnovano. È proprio questo valore immateriale, più che la popolarità internazionale, ad aver convinto gli esperti nella loro prima valutazione. La lista dell’Unesco include elementi come lo yodel svizzero, il son cubano, gli origami giapponesi, il vino passito cipriota, o la rappresentazione della Passione di Cristo in Messico, dimostrando come l’Organizzazione guardi a forme culturali che abbiano un significato profondo per le comunità.

Questo primo sì, però, non garantisce l’iscrizione definitiva. Petrillo stesso lo ha ricordato: il passaggio politico di dicembre potrebbe confermare o ribaltare il parere tecnico. Il Comitato intergovernativo, composto da rappresentanti di diversi Stati, valuta infatti anche equilibri geopolitici, distribuzione regionale dei patrimoni e rapporti diplomatici. La cucina italiana resta quindi in corsa, ma il percorso non è concluso. Il primo semaforo verde indica però che l’Italia ha costruito un dossier solido, riconosciuto nella sua struttura metodologica e nella capacità di dimostrare che il cibo, in Italia, non è solo nutrimento ma cultura viva.
Perché il riconoscimento Unesco cambierebbe tutto e come si prepara l’Italia alla decisione di dicembre
Se il Comitato di New Delhi dovesse confermare il parere tecnico, la cucina italiana diventerebbe la prima tradizione gastronomica globale a essere riconosciuta nella sua totalità come patrimonio immateriale dell’umanità. Un risultato di questo tipo avrebbe un impatto ampio, non tanto sul piano commerciale, quanto su quello culturale e identitario. L’Unesco non certifica la qualità o la superiorità di un elemento, ma il suo valore per una comunità e la necessità di proteggerlo. Nel caso della cucina italiana, ciò significherebbe porre al centro la sua fragilità culturale: un patrimonio che si rinnova ogni volta che qualcuno impasta la pasta fresca, ricorda i gesti della nonna, cucina seguendo le ricette del proprio territorio o trasmette le tecniche ai più giovani.
L’eventuale riconoscimento porterebbe inoltre a un aumento del dibattito internazionale sul tema della tutela delle tradizioni gastronomiche, aprendo la strada a nuove candidature per altre cucine del mondo che vorranno valorizzare la propria identità. Per l’Italia rappresenterebbe un’occasione per consolidare la propria immagine culturale in un contesto in cui il cibo è sempre più soggetto a banalizzazioni e standardizzazioni. In questo scenario, l’Unesco può diventare un mezzo per riaffermare la complessità del patrimonio culinario italiano, fatto di tecniche, conoscenze, riti familiari, biodiversità agricola e un rapporto profondo con il paesaggio. Non è un marchio di qualità, ma un riconoscimento dell’importanza sociale e culturale che quel patrimonio ha nella vita della comunità.
Il passaggio politico resta comunque un nodo cruciale. L’Italia sta lavorando per costruire una rete diplomatica che sostenga il dossier, perché ogni voto all’interno del Comitato intergovernativo può essere determinante. A New Delhi si discuterà anche delle altre candidature che hanno ottenuto pareri favorevoli, come lo yodel svizzero, il son cubano, gli origami, il vino passito di Cipro e altri elementi che evidenziano la diversità culturale globale. Il risultato finale sarà quindi frutto non solo della solidità tecnica ma anche del dialogo politico tra gli Stati rappresentati. Per la cucina italiana, l’attesa sarà carica di significato perché la decisione potrebbe segnare un punto storico nella percezione mondiale della gastronomia come patrimonio culturale.





