Quando i Beatles si sciolsero, ogni membro del gruppo si trovò davanti a un salto nel vuoto che avrebbe potuto annientare qualunque artista. Per Paul McCartney la sfida fu ancora più complessa: come si supera una storia che ha rivoluzionato la musica mondiale? E soprattutto, come si ricomincia dopo aver scritto alcune delle canzoni più amate del Novecento? Il periodo post-Beatles di McCartney è stato spesso letto con un misto di curiosità e scetticismo, ma proprio oggi, grazie a nuove pubblicazioni e all’uscita di un libro dedicato ai Wings, sta vivendo una riscoperta che permette di guardare la sua produzione con occhi diversi. È un percorso fatto di libertà, di errori, di lampi di genio, di sperimentazioni che all’epoca sembravano stravaganti e che oggi appaiono quasi visionarie. La sua avventura da solista, insieme alle stagioni vissute con i Wings, ha lasciato brani che ancora brillano, pezzi che raccontano molto più della carriera di un ex Beatle: raccontano l’evoluzione di un musicista che non ha mai smesso di cercare un modo nuovo per esprimere se stesso.
Dai primi esperimenti al successo planetario: cosa raccontano davvero i brani che hanno definito il McCartney dopo i Beatles
Il viaggio post-Beatles di Paul McCartney parte da un contesto sorprendentemente fragile. Nonostante fosse già uno dei nomi più influenti della musica mondiale, l’inizio del suo percorso solista avviene con un approccio quasi domestico, intimista, imperfetto. Il primo album McCartney, nato mentre il mondo piangeva la fine dei Fab Four, venne maltrattato dalla critica, accusato di essere un lavoro grezzo e privo di direzione. Eppure proprio lì si nasconde una delle perle più amate del suo repertorio: Maybe I’m Amazed, una ballata densa e vulnerabile registrata con Macca a tutti gli strumenti, nata dalla sensazione che Linda fosse l’unica persona in grado di sostenerlo in quel momento turbolento. È una canzone che vibra di un’urgenza emotiva profondissima e che, non a caso, viene considerata ancora oggi una delle sue dichiarazioni d’amore più autentiche.
Negli anni successivi McCartney trasforma il caos dell’indipendenza in un laboratorio creativo. Nel 1971 forma i Wings, insieme a Linda, a Denny Laine dei Moody Blues e a un gruppo di musicisti che cambiava di volta in volta. L’inizio fu quasi naïf: concerti improvvisati, biglietti da cinquanta pence, un’organizzazione artigianale che oggi sarebbe impensabile per un artista della sua portata. Eppure proprio quella libertà contribuì a definire una fase creativa tra le più intense della sua vita. Da quel mondo nascono brani come Jet, sospeso tra pop, rock, armonie beatlesiane e sintetizzatori anni Settanta, oppure Goodnight Tonight, un’incursione nel funky e nella discomusic che dimostra come Macca fosse già allora un musicista aperto a tutto, capace di muoversi con naturalezza tra generi lontani.
L’ambizione raggiunge il suo culmine con Live and Let Die, la colonna sonora dell’omonimo film di James Bond. È uno dei brani che mostrano meglio la sua capacità di fondere orchestrazioni monumentali, energia rock, melodie pop e un’intensità cinematografica che ancora oggi sorprende. Non è un caso che agli arrangiamenti partecipò anche George Martin, il leggendario produttore dei Beatles, chiamato proprio per dare a quel pezzo una complessità capace di sostenere l’impatto della saga di 007. Il risultato è una composizione barocca, virtuosistica, in cui archi, esplosioni ritmiche e fraseggi vocali costruiscono un equilibrio quasi perfetto.
Ci sono poi brani che mostrano un McCartney più intimo, più enigmatico, come Waterfalls, con la sua melodia ossessiva e i testi sospesi, o Nineteen Hundred and Eighty Five, un tour de force pianistico che sembra viaggiare tra rock, blues e suggestioni house ante litteram. E c’è anche Let Me Roll It, uno dei pezzi più discussi della sua carriera, letto da molti come un messaggio in codice a John Lennon e caratterizzato da un timbro della voce e un uso dell’eco che richiamano sorprendentemente lo stile dello stesso Lennon. McCartney ha più volte riconosciuto queste somiglianze, trasformando il brano in un capitolo di quel dialogo artistico che i due ex Beatles non hanno mai smesso di intrecciare nemmeno dopo la separazione.

La maturità artistica e l’eredità dei Wings: perché “Band on the Run” resta la vetta assoluta della carriera solista di McCartney
Se esiste però un momento che definisce più di tutti il McCartney post-Beatles, è sicuramente Band on the Run, il brano che dà il titolo al terzo album dei Wings e che rappresenta una delle sue prove più complete e luminose. È un pezzo nato da un’intuizione narrativa che mescola libertà, fuga, desiderio di ricominciare, un tema che rispecchiava perfettamente il periodo che stava vivendo. La frase “if we ever get out of here”, raccontò lo stesso Macca, venne ispirata da una lamentela di George Harrison durante una delle interminabili riunioni dei Beatles, come se il bisogno di evadere fosse un filo che collegava passato e presente. E in effetti Band on the Run è costruita come una fuga in musica: tre sezioni diverse, ognuna con la sua identità, che si incastrano formando un brano capace di viaggiare tra ballata, rock acceso e pop melodico senza perdere coerenza.
Molti critici e fan lo considerano uno dei momenti in cui Paul riesce a dimostrare la sua piena autonomia artistica. Non più il McCartney dei Beatles, non più il membro di un collettivo iconico, ma un autore capace di costruire un immaginario nuovo, personale, dinamico. Il pezzo fu elogiato persino da John Lennon, un dettaglio rarissimo che testimonia quanto il brano fosse considerato all’altezza della storia che aveva alle spalle. E in effetti Band on the Run non avrebbe sfigurato in nessun album dei Fab Four, perché racchiude proprio quella miscela di ambizione melodica, coraggio sperimentale e naturalezza compositiva che aveva sempre contraddistinto il lavoro di McCartney. La libertà creativa che cercava fin dall’inizio della sua fase solista trova qui la sua forma più completa, quasi una dichiarazione d’identità musicale dopo anni di prove, tentativi e trasformazioni.
Il percorso solista di McCartney è un viaggio complesso, pieno di luci e ombre, ma anche di una bellezza che spesso sfugge a chi si limita a confrontarlo con i Beatles. Guardandolo da vicino emerge qualcosa di diverso: un artista che non ha mai smesso di rischiare, di cambiare registri, di sorprendere e di sorprendersi. È questo, forse, il motivo per cui molte sue canzoni continuano a essere ascoltate, reinterpretate, riscoperte. Non sono solo pezzi di una carriera post-Beatles: sono capitoli di una storia musicale che non ha mai smesso di spingersi oltre i confini dell’abitudine.






