Durante una partita di calcio è ormai comune vedere calciatori di alto livello scendere in campo con calzettoni tagliati, spesso con fori rotondi o lunghi strappi all’altezza dei polpacci. È diventata una scena familiare in Serie A, Premier League e perfino nelle categorie minori, tanto che molti giovani imitano campioni come Jude Bellingham o Kyle Walker convinti che quei tagli alleggeriscano la tensione muscolare e riducano i crampi. Ma la domanda resta: è davvero così utile o si tratta solo di un gesto simbolico, un’abitudine nata nello spogliatoio e poi trasformata in moda? Le risposte iniziano a emergere proprio ora, tra testimonianze dei giocatori e valutazioni mediche che raccontano una realtà più complessa, fatta di percezioni, di comfort e anche di piccoli rituali psicologici.
Perché i calciatori tagliano i calzettoni e cosa succede davvero quando un tessuto molto aderente stringe il polpaccio durante una gara
Chi ha giocato a calcio conosce bene la sensazione di costrizione provocata dai calzettoni molto aderenti, soprattutto se sottoposti a un’intensa attività di corsa, scatti e cambi di direzione. Il polpaccio è uno dei muscoli più sollecitati durante una partita e nei professionisti diventa estremamente sviluppato. Indossare calze enormemente tirate può generare un fastidio continuo, come una pressione che non si allenta mai e che accompagna ogni movimento. Da qui è nata l’abitudine dei fori, che in tanti casi permettono di far “respirare” quella zona e ridurre l’aderenza. Kyle Walker lo ha spiegato con semplicità: “I calzettoni sarebbero troppo stretti e mi creerebbero problemi”. Una frase che ha fatto il giro degli spogliatoi e ha alimentato l’idea che il taglio rappresenti una soluzione immediata a un disturbo reale.
Tuttavia, ciò che rende interessante questo fenomeno non è solo la ricerca di comfort, ma il modo in cui si è diffuso. In molti casi la pratica si è ampliata oltre il bisogno iniziale, diventando una sorta di rituale. C’è chi ritiene che il taglio riduca la probabilità di crampi, chi lo associa a un gesto scaramantico e chi lo vive come un segno di identità calcistica. È un’azione rapida, che non richiede alcuna attrezzatura e può essere eseguita un minuto prima dell’ingresso in campo. L’elemento estetico non è secondario: i calzettoni bucati trasmettono un’immagine di atleta “a suo agio”, che personalizza l’uniforme, quasi come avviene nelle scarpe personalizzate o nelle fasciature visibili sotto gli scarpini.
Nonostante ciò, quando la pratica è stata analizzata sul piano medico, gli specialisti hanno espresso un giudizio piuttosto chiaro: non esistono prove solide che tagliare il tessuto riduca il rischio di problemi muscolari. Anzi, alcuni fisioterapisti hanno evidenziato che la sensazione di “tensione liberata” potrebbe essere un classico esempio di effetto placebo, cioè un miglioramento percepito più che reale. La diffusione nel mondo dilettantistico ne è stata la conferma: anche chi non presenta polpacci particolarmente sviluppati ha iniziato a replicare l’abitudine, segno che ciò che nasce da un’esigenza fisica può trasformarsi velocemente in un gesto simbolico, alimentato dall’immaginario dei campioni.

Cosa dicono gli studi sull’abbigliamento compressivo e perché la scienza non trova benefici nei calzettoni strappati, anzi suggerisce il contrario
Per valutare davvero l’impatto dei calzettoni tagliati bisogna guardare alla ricerca scientifica dedicata agli indumenti compressivi, perché i calzettoni da calcio rientrano in quella categoria, seppur con tessuti meno sofisticati rispetto alle vere calze tecniche. L’unico studio di riferimento pubblicato su PubMed analizza gli effetti dell’abbigliamento compressivo su attività intermittente ad alta intensità, lo stesso tipo di sforzo richiesto dal calcio moderno. I materiali osservati erano composti in gran parte da nylon, meryl e spandex, simili a quelli di molti calzettoni usati dai professionisti.
I risultati sono sorprendenti rispetto alle convinzioni comuni. Lo studio evidenzia che la compressione, se ben calibrata, può portare benefici misurabili: una maggiore distanza percorsa, un leggero aumento della velocità media e una migliore ossigenazione dei tessuti muscolari. In altre parole, un tessuto che aderisce correttamente potrebbe aiutare l’atleta a recuperare più velocemente tra uno sforzo e l’altro, favorendo prestazioni più stabili durante la gara. Questo però non significa che un calzettone troppo stretto sia utile; significa piuttosto che l’aderenza moderata può migliorare il supporto muscolare, mentre un taglio nel tessuto non apporta alcun vantaggio fisiologico.
Gli esperti citati dal quotidiano spagnolo AS hanno ribadito che i benefici percepiti dai giocatori che tagliano le calze non hanno riscontro scientifico. Non ci sono prove che i buchi riducano la probabilità di crampi o di contratture. Al contrario, eliminare parte della compressione potrebbe ridurre lievemente il sostegno del tessuto, senza generare reali miglioramenti. È una dinamica simile a molte abitudini sportive: un gesto nasce da un’esigenza soggettiva, si diffonde tra i campioni, viene imitato e diventa una consuetudine che continua a perpetuarsi anche quando l’utilità non è dimostrabile.
Alla fine, ciò che resta è una combinazione di sensazione personale, percezione di leggerezza e un pizzico di stile. Per molti calciatori, professionisti o amatori, l’importante non è tanto ciò che dice la scienza, quanto sentirsi più comodi, più liberi nei movimenti e più sicuri al momento di scendere in campo. I buchi nei calzettoni non cambiano il risultato di una partita, ma cambiano il modo in cui un atleta si percepisce. E nel calcio moderno, dominato da dettagli tecnici e gesti rituali, anche questa può diventare parte del gioco.






