Dal riscatto dei contributi non versati alle uscite anticipate: ecco come funzionano le regole per andare in pensione nel 2026
Arrivare alla pensione non è mai stato semplice. Tra riforme che cambiano all’improvviso, requisiti che variano in base all’anno e finestre d’uscita che si aprono e si chiudono in fretta, il lavoratore italiano si trova spesso di fronte a un labirinto di norme e condizioni. Eppure, la domanda resta sempre la stessa: quanti contributi servono davvero per smettere di lavorare?
La risposta non è unica, perché dipende dall’età anagrafica, dal tipo di carriera svolta e dallo strumento previdenziale a cui si accede. Nel 2026 il quadro resta complesso, ma può essere sintetizzato in più percorsi: c’è chi riesce a ottenere l’assegno con soli 5 anni di contributi, chi deve arrivare a 20 e chi, in casi particolari, deve accumularne oltre 43.
Un punto fermo però c’è: il diritto alla pensione si lega sempre a due elementi fondamentali, anni di versamenti e età anagrafica. Uno senza l’altro non basta, salvo poche eccezioni molto specifiche.
Contributi minimi e pensione di vecchiaia: dai 5 ai 20 anni
La via più “essenziale” è la pensione di vecchiaia contributiva, pensata per chi ha carriere discontinue o è entrato tardi nel mondo del lavoro. Nel 2026 basteranno 5 anni di contributi (purché versati dopo il 1995) per poter uscire a 71 anni, senza vincoli sull’importo dell’assegno. Una possibilità utile a chi non ha avuto una carriera lunga, ma che porta con sé un’età molto elevata di uscita.
Il requisito più diffuso resta però quello dei 20 anni di contributi, che apre più strade:
la pensione di vecchiaia ordinaria, accessibile a 67 anni;
la pensione anticipata contributiva, che consente l’uscita a 64 anni, ma solo se l’assegno maturato è almeno tre volte superiore all’importo dell’assegno sociale e se non ci sono versamenti precedenti al 1996;
la pensione di vecchiaia per invalidi civili con percentuale superiore all’80%, che permette l’uscita a 56 anni per le donne e 61 per gli uomini.
Queste opzioni dimostrano come la soglia dei 20 anni resti il punto di riferimento, anche se le condizioni economiche e sanitarie possono modificare i tempi.

Pensioni anticipate e regole speciali
Non tutte le uscite dipendono dall’età. Esiste infatti la pensione anticipata ordinaria, che nel 2026 richiederà 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, più una finestra di tre mesi. In pratica, si supera facilmente la soglia dei 43 anni di lavoro effettivo.
Accanto a questa regola generale ci sono percorsi riservati a determinate categorie:
Quota 41 per i lavoratori precoci: consente l’uscita con 41 anni di contributi per caregiver, invalidi, disoccupati e addetti a mansioni gravose.
APE sociale: richiede 30 anni di contributi per alcune categorie fragili e 36 anni per chi svolge lavori pesanti. Permette di andare in pensione a 63 anni e 5 mesi con un assegno ponte fino alla vecchiaia.
Lavori usuranti: prevedono l’uscita a 61 anni e 7 mesi con almeno 35 anni di contributi, a condizione di rientrare nell’elenco delle professioni riconosciute come particolarmente faticose.
Più incerto invece il destino di Opzione Donna, misura pensata per le lavoratrici con almeno 35 anni di versamenti. Nel 2025 era ancora attiva, ma non ci sono certezze sul rinnovo per il 2026.
Contributi non versati e possibilità di riscatto
Un tema che interessa molti lavoratori riguarda i contributi INPS non versati o caduti in prescrizione. Anche in questo caso esiste una possibilità: il riscatto. Con un’apposita domanda si può sanare la posizione e recuperare periodi scoperti, trasformandoli in anni utili al calcolo della pensione.
La procedura non è automatica: bisogna verificare la posizione contributiva e capire se il periodo può essere effettivamente riscattato. In alcuni casi è necessario rivolgersi a patronati o consulenti del lavoro per non commettere errori. Il vantaggio è evidente: anni che altrimenti sarebbero “persi” possono tornare a essere validi, accelerando l’uscita dal lavoro.
Il mosaico della pensione 2026
Il panorama previdenziale del 2026 conferma un dato: non esiste una sola pensione, ma tante pensioni diverse, ognuna con regole, requisiti e tempistiche. Chi ha avuto una carriera breve può contare sulla vecchiaia contributiva a 71 anni, chi ha lavorato a lungo può uscire anche senza guardare all’età, e chi rientra in categorie particolari ha percorsi dedicati.
Quello che non cambia è l’importanza dei contributi. Sono la base su cui poggia ogni calcolo, l’elemento che determina quando e come si può lasciare il lavoro. Possono essere riscattati, ricongiunti, rivalutati, ma non ignorati.
Per il lavoratore, questo significa una cosa: monitorare con attenzione la propria posizione previdenziale, informarsi sulle opzioni disponibili e programmare per tempo la propria uscita. Solo così la pensione, nel 2026, potrà smettere di essere un rebus e trasformarsi in un traguardo concreto.






