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Fine vita, cosa prevede la legge tedesca e perché le Kessler l’hanno scelta

by Matilde Giunti
20 Novembre 2025

Nel caso delle gemelle Kessler, scomparse a 89 anni in Baviera ricorrendo al suicidio assistito, si intrecciano storia personale, libertà individuale e un quadro normativo europeo estremamente frastagliato. La loro decisione, maturata da tempo e verificata dalle autorità competenti, ha rimesso al centro del dibattito pubblico il tema del diritto a una morte autodeterminata, un ambito in cui l’Europa procede ancora a velocità molto diverse, tra paesi che autorizzano procedure mediche strutturate e altri che non dispongono nemmeno di una legge specifica.

Come si è svolta la scelta delle gemelle Kessler e cosa prevede la normativa tedesca

Le ultime ore di Alice ed Ellen Kessler raccontano una vicenda intima ma anche profondamente pubblica, perché coinvolge una delle norme più discusse della società contemporanea. Le due artiste, simboli della televisione europea del dopoguerra, hanno scelto di morire insieme nella loro casa di Gruenwald, vicino a Monaco, seguendo le procedure previste dal sistema tedesco. È stato un percorso non improvvisato, costruito in modo rigoroso, come richiede la sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 2020 che ha dichiarato incostituzionale il divieto assoluto di assistenza al suicidio. La sentenza riconosce il diritto dell’individuo a determinare autonomamente il proprio fine vita, purché siano rispettate condizioni precise sulla capacità di intendere e di volere, sulla volontarietà della decisione e sulla sua piena consapevolezza.

Nei giorni precedenti alla morte, raccontano i media tedeschi, un legale ha verificato che le due sorelle fossero lucide, autodeterminate e libere da influenze esterne. È un passaggio che in Germania ha un ruolo cruciale: serve ad accertare che la scelta non sia frutto di una crisi temporanea, di una pressione familiare o di una condizione psicologica alterata. La legge richiede inoltre che chi assiste non possa intervenire materialmente nella somministrazione. Il medico prepara i farmaci, ma è il paziente a dover attivare la valvola o assumere autonomamente il composto. La Germania vieta ancora l’eutanasia attiva, in cui è il medico a somministrare direttamente il farmaco letale, differenziandosi da paesi come Olanda, Belgio o Spagna, dove invece alcune forme di eutanasia sono legalmente riconosciute.

Questo sistema, nato da una sentenza e non da una legge nazionale, è per molti versi un territorio complesso, con margini interpretativi che spesso dividono opinione pubblica e politica. Tuttavia, per le gemelle Kessler è stato il quadro legale entro cui hanno potuto esercitare il loro diritto. Hanno atteso il giorno stabilito, hanno seguito le procedure amministrative, hanno accolto gli agenti arrivati sul posto dopo il decesso, come prevede il protocollo. La loro è stata una scelta meditata, portata avanti insieme come hanno fatto per tutta la vita, e che oggi alimenta una discussione più ampia sul bisogno di norme chiare e uniformi sul fine vita.

Dove è legale il suicidio assistito in Europa e cosa succede in Italia

L’Europa è un mosaico di norme in cui convivono modelli completamente diversi, spesso frutto di storie politiche e culturali non comparabili. Nei Paesi Bassi, il primo Stato al mondo a legalizzare l’eutanasia nel 2002, la legge riconosce sia la possibilità del suicidio assistito sia quella dell’eutanasia attiva, purché vengano rispettati criteri stringenti. Il Belgio ha seguito una strada simile e resta l’unico paese europeo a permettere la procedura anche a cittadini stranieri, trasformando di fatto il Paese in uno dei principali punti di riferimento per chi cerca un percorso legale strutturato. Spagna e Portogallo hanno introdotto leggi relativamente recenti che regolano entrambe le forme di fine vita medicalmente assistito, definendo processi formali con valutazioni mediche plurime e controlli giudiziari.

Un modello particolare è quello della Svizzera, che da decenni consente il suicidio assistito purché non ci sia un movente egoistico da parte di chi aiuta. La somministrazione avviene sempre in modalità autonoma, attraverso procedure medicalizzate gestite da associazioni autorizzate. Anche il Lussemburgo e, dal 2022, l’Austria hanno reso legale il suicidio assistito a determinate condizioni, consolidando un quadro europeo che si muove verso una maggiore regolamentazione, pur con limiti e differenze significative tra Paesi.

L’Italia rimane invece un caso a parte. Non esiste una legge nazionale e il tema resta politicamente divisivo. L’unico riferimento normativo è la sentenza della Corte Costituzionale del 2019, che ha stabilito la non punibilità dell’aiuto al suicidio nel caso in cui il paziente sia pienamente capace di autodeterminarsi, sia affetto da una patologia irreversibile, provi sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili e sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale. È una formulazione molto restrittiva, che negli ultimi anni ha sollevato critiche da parte di associazioni come la Luca Coscioni, secondo cui questa limitazione esclude molti pazienti terminali che soffrono ma non sono attaccati a un macchinario salvavita.

Il caso di dj Fabo e il processo a Marco Cappato hanno aperto la strada a una riflessione pubblica che però non si è ancora tradotta in una legge capace di definire tutele, controlli e procedure. Come mostrano esempi europei molto diversi tra loro, l’assenza di una norma completa genera incertezza sia per i pazienti sia per le strutture sanitarie chiamate a gestire casi complessi. Il suicidio assistito delle gemelle Kessler, così carico di simboli e di domande morali, riporta la questione al centro del dibattito italiano, mostrando quanto il tema rischi di restare sospeso tra decisioni giudiziarie e un vuoto legislativo che dura ormai da anni.

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