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Curaçao ai Mondiali 2026: la piccola isola che ha riscritto la storia del calcio

by Matilde Giunti
20 Novembre 2025

L’arrivo di Curaçao ai Mondiali del 2026 segna un momento che cambia la mappa globale del calcio, perché per la prima volta una nazione così piccola, con appena 180mila abitanti, riesce ad arrivare dove storicamente solo paesi grandi e strutturati si erano spinti. Una qualificazione costruita nell’arco di anni, tra investimenti mirati, allenatori esperti e un lavoro costante sui talenti cresciuti oltre oceano, in un sistema europeo che oggi restituisce all’isola una generazione capace di sfidare squadre molto più forti.

Come Curaçao ha ribaltato ogni pronostico e perché la sua qualificazione cambia l’equilibrio mondiale

Fino a poche settimane fa il record apparteneva a Capo Verde, che aveva sorpreso tutti diventando il paese più piccolo mai qualificato a un Mondiale. Poi è arrivata Curaçao, che ha superato quel primato con due cifre che parlano da sole: 444 chilometri quadrati di territorio e 180mila abitanti. È una nazione costitutiva del Regno dei Paesi Bassi, ma completamente autonoma nelle sue leggi, nei suoi tribunali e nella gestione politica interna. A livello sportivo questo significa una Nazionale costruita con cura, coinvolgendo giocatori cresciuti nei Paesi Bassi ma con legami familiari forti con l’arcipelago. È il caso dell’attaccante Sontje Hansen, del centrocampista Juninho Bacuna e di Tahith Chong, uno dei pochi nati direttamente nei Caraibi ma cresciuto nelle giovanili del Manchester United.

La qualificazione di Curaçao è arrivata dopo un girone di altissimo livello, con sette vittorie e tre pareggi, in cui l’avversario più complesso era la Giamaica, storicamente più forte e più abituata alle competizioni internazionali. La partita decisiva del 18 novembre è stata una delle più tese della storia recente delle qualificazioni della CONCACAF: la Giamaica ha sfiorato più volte il gol e a un minuto dalla fine aveva ottenuto un rigore che avrebbe cambiato il destino del girone. Il VAR lo ha annullato e, con quel gesto, ha aperto definitivamente la strada della nazionale caraibica verso il 2026.

Questa scalata, però, non è nata all’improvviso. Nell’ultimo decennio Curaçao è passata dal 150º posto all’82º nel ranking FIFA, un salto che documenta una crescita lenta ma costante. Il merito principale è dell’allenatore Dick Advocaat, tecnico olandese di lunghissima esperienza internazionale che ha guidato già Paesi Bassi, Russia, Iraq, Emirati Arabi e Corea del Sud. Arrivato sull’isola nel 2024, Advocaat ha portato metodo, disciplina e la capacità di scegliere i giocatori giusti, valorizzando chi aveva un legame con Curaçao ma si era formato nel calcio europeo, molto più competitivo.

Il successo della nazionale caraibica riflette anche un cambiamento più ampio nella struttura dei Mondiali. Per la prima volta la competizione passa da 32 a 48 squadre, con la conseguente apertura di nuovi slot che hanno permesso a realtà emergenti di entrare nel tabellone finale. Ma questo non toglie valore al percorso di Curaçao, costruito partita dopo partita, contro avversari che sulla carta avrebbero dovuto eliminarla. La capacità di resistere, di tenere equilibrio e di trasformare ogni occasione in un vantaggio concreto racconta una determinazione che è diventata il tratto distintivo di questa qualificazione.

Nel 2026 ci saranno anche altri debutti: Uzbekistan, Giordania, Capo Verde, oltre ad altre due nazioni caraibiche, Haiti e Panama, che manca dal 2018. Il segnale è chiaro: l’allargamento del torneo sta permettendo a nuove geografie sportive di emergere e mostra come il calcio mondiale stia cambiando direzione. È sufficiente guardare il ricordo di Panama nel 2018, che festeggiò con entusiasmo perfino un gol arrivato sul 6-0 contro l’Inghilterra, per capire quanto questa competizione rappresenti un traguardo più emotivo che tecnico per le nazionali che non avevano mai avuto accesso al palcoscenico più importante.

Perché sempre più piccoli paesi entrano nei Mondiali e come sta cambiando la struttura del calcio globale

La qualificazione di Curaçao non è soltanto un risultato sportivo. È un segnale di come la crescita internazionale del calcio stia aprendo la porta a realtà che fino a pochi anni fa non avrebbero avuto modo di avvicinarsi a un palcoscenico simile. L’allargamento del torneo a 48 squadre favorisce le confederazioni che storicamente avevano pochissimi posti, come la CONCACAF. Questo crea un sistema in cui nazioni con una popolazione molto ridotta possono emergere se costruiscono progetti credibili e investono sul talento, anche quando questo talento si trova lontano da casa.

Il caso di Curaçao dimostra poi come la diaspora sportiva possa diventare un motore decisivo: molti giocatori che non avrebbero trovato spazio nelle selezioni europee, perché coperti da talenti più competitivi, hanno scelto di rappresentare l’isola caraibica e hanno portato con sé esperienza, ritmo e una mentalità maturata nei campionati inglesi e olandesi. Questa miscela rende la squadra più solida e capace di adattarsi a partite ad alta intensità, qualcosa che in passato mancava alle nazionali caraibiche.

Accanto all’aspetto tecnico c’è un tema culturale, che riguarda l’orgoglio identitario di diversi paesi piccoli o geograficamente isolati. La partecipazione ai Mondiali diventa una forma di riconoscimento internazionale e un modo per rafforzare la propria presenza nel mondo. È ciò che è successo con Islanda nel 2018, quando la sua qualificazione, nonostante la popolazione ridottissima, mostrò come anche piccole nazioni potessero affrontare avversari enormi e condividere la loro storia attraverso il calcio.

Per il 2026 l’ipotesi di vedere anche Giamaica e Suriname ai Mondiali tramite gli spareggi intercontinentali apre un ulteriore scenario interessante. L’area caraibica, storicamente considerata periferica rispetto ai centri calcistici mondiali, potrebbe presentare un gruppo di squadre mai visto prima in un’unica edizione. E questo racconta un calcio più globale, più fluido e meno centrato sulle stesse dieci nazionali che hanno dominato per un secolo.

Il passo successivo, naturalmente, è capire come queste nazionali reggeranno l’impatto del torneo. Per realtà così piccole, anche un pareggio o un gol possono rappresentare un successo storico. Gli esempi del passato lo confermano: quando Panama segnò contro l’Inghilterra nel 2018, sotto 6-0, fu un momento di festa che travolse i tifosi nei bar e nelle piazze. Per molte di queste nazioni il Mondiale non è tanto una gara da vincere, quanto un’occasione per esistere agli occhi del mondo. Curaçao arriva nel 2026 con quella stessa energia e con un percorso che ha già riscritto una parte della storia del calcio internazionale.

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