Una recente ordinanza della Cassazione segna un punto di svolta: anche chi scioglie un’unione civile potrà chiedere l’assegno di mantenimento, per tutelare il partner più fragile. Una decisione che apre nuove tutele e cambia il panorama giuridico italiano.
Negli ultimi anni il dibattito sui diritti delle coppie unite civilmente è stato intenso, ma mai come oggi il tema assume un peso concreto nella vita quotidiana. Con l’ordinanza n. 25495 del 17 settembre 2025, la Corte di Cassazione ha infatti chiarito che l’assegno di mantenimento può essere riconosciuto anche in caso di scioglimento di un’unione civile, applicando gli stessi criteri previsti per il matrimonio. Si tratta di un passo fondamentale, che tutela la parte economicamente più debole e che potrebbe avere conseguenze dirompenti su centinaia di casi simili in tutta Italia.

Unioni civili e assegno divorzile: cosa dice la legge
L’unione civile, introdotta in Italia con la legge n. 76/2016, rappresenta un istituto giuridico distinto dal matrimonio ma che riconosce piena rilevanza legale ai rapporti tra persone dello stesso sesso. Fino a oggi, lo scioglimento di questo legame non prevedeva formalmente un assegno paragonabile a quello divorzile. La Cassazione, invece, ha stabilito che i principi già elaborati in materia di divorzio si applicano anche alle unioni civili, aprendo così la strada a una tutela più ampia.
In pratica, l’assegno divorzile potrà essere riconosciuto se viene accertata l’inadeguatezza dei mezzi economici del richiedente e se emergono due funzioni precise:
la funzione assistenziale, per garantire una vita dignitosa al partner privo di risorse;
la funzione perequativo-compensativa, che riconosce i sacrifici di chi, durante la vita comune, ha rinunciato a lavoro o carriera per favorire l’altro o per dedicarsi al menage domestico.
È una distinzione cruciale: se c’è solo la funzione assistenziale, l’assegno non si lega al tenore di vita precedente, ma solo ai bisogni minimi; se c’è anche la funzione compensativa, invece, il calcolo tiene conto del contributo dato alla famiglia e al patrimonio comune.
Il caso delle due donne e il verdetto dei giudici
La vicenda che ha dato origine a questa pronuncia riguarda due donne unite civilmente nel 2016. Dopo la fine della relazione, una di loro aveva chiesto l’assegno di mantenimento sostenendo di aver sacrificato opportunità professionali per la vita di coppia.
In primo grado, il tribunale di Pordenone aveva riconosciuto un assegno di 550 euro al mese.
In appello a Trieste, la decisione era stata ribaltata, negando il diritto al sostegno.
La questione è arrivata in Cassazione, che ha cassato la sentenza d’appello e rimandato il caso ai giudici triestini, imponendo una verifica più approfondita.
Secondo la Suprema Corte, non basta accertare che esista una disparità economica tra le parti, ma occorre dimostrare se questa disparità sia frutto o conseguenza delle scelte di vita comune e se l’attuale condizione del partner richieda davvero un apporto economico per vivere dignitosamente.
Implicazioni e prospettive future
Questa ordinanza non è solo un caso singolo: rappresenta una svolta giurisprudenziale che inciderà su molte situazioni analoghe. Equiparare le unioni civili ai matrimoni sul piano economico significa:
offrire una rete di protezione a chi, durante l’unione, ha rinunciato a opportunità di crescita lavorativa;
rendere più equilibrato lo scioglimento dei legami affettivi, evitando che la parte più fragile resti senza mezzi;
consolidare la piena dignità delle unioni civili, spesso considerate un “istituto minore” rispetto al matrimonio.
Naturalmente, restano aperti alcuni nodi: come misurare con precisione i sacrifici di carriera? Come distinguere uno squilibrio economico preesistente da quello maturato durante la relazione? E, soprattutto, quanto spazio avranno i giudici di merito nell’interpretare queste linee guida?
La Cassazione, intanto, ha fissato un principio chiaro: nessun partner deve uscire da un’unione civile privo di tutela, se la sua condizione di fragilità deriva da scelte comuni e dal contributo dato alla vita familiare.
Con questa ordinanza, la Cassazione ha tracciato un percorso che potrebbe segnare definitivamente l’equiparazione tra matrimonio e unione civile sul piano dei diritti economici post-scioglimento. Una decisione che mette al centro la dignità della persona e che ricorda come la giustizia non debba solo applicare regole, ma anche riconoscere i sacrifici e le scelte di vita condivise.
In attesa delle future pronunce dei tribunali, è chiaro che per molte coppie unite civilmente questa ordinanza apre nuove prospettive di tutela e giustizia, rendendo il sistema più inclusivo e rispettoso delle diverse forme di famiglia riconosciute dalla legge italiana.






