INPS ha messo un punto fermo sulle scadenze: la procedura per richiedere il sostegno alle mamme lavoratrici segue la direttiva contenuta nella circolare 139 del 28 ottobre. Da quella nota nasce la regola sui termini utili per l’invio delle domande: la sospensione dei termini causa festività sposta la scadenza pratica al 9 dicembre, mentre le richieste possono comunque essere presentate, in presenza dei requisiti, entro il 31 gennaio 2026. Questo significa che molte istanze idonee verranno trattate con scadenze differenziate a seconda della data di acquisizione. Un dettaglio che molti sottovalutano è che la tempistica di compilazione influisce sull’erogazione nella finestra di dicembre: chi completa la procedura in tempo potrà vedere l’accredito prima, gli altri riceveranno gli importi più avanti.
Scadenze, presentazione e tempi di erogazione
La domanda dovrà essere inoltrata attraverso i canali istituzionali. È possibile utilizzare il portale dell’ente con l’identità digitale (SPID di livello 2, CIE o CNS), il contact center o gli sportelli dei patronati che offrono supporto alla compilazione. Per chi vive in aree urbane l’accesso online è spesso la soluzione più rapida, mentre chi preferisce assistenza trova nei patronati un’applicazione pratica della norma. I tempi di istruttoria dipendono dalla completezza della documentazione: in molti casi una pratica inviata entro la scadenza di dicembre viene liquidata nel mese di dicembre, ma quando la domanda arriva oltre la finestra utile per l’accredito annuale l’erogazione può essere posticipata fino a febbraio, sempre se la domanda è stata presentata entro il termine ultimo del 31 gennaio 2026.
Dal punto di vista operativo, è importante preparare con attenzione la certificazione reddituale e l’ISEE: senza questi elementi la domanda resta sospesa. Un aspetto spesso trascurato è la verifica dell’identità digitale, che può generare ritardi per chi non è ancora in possesso di SPID o CIE. In caso di dubbi, il contact center o i servizi dei patronati rappresentano un canale concreto per ridurre errori formali e accelerare l’istruttoria.

A chi spetta il sostegno e come viene calcolato
Il beneficio è pensato come un’integrazione al reddito per le madri con determinati requisiti economici e familiari. A oggi il perimetro prevede un Isee non superiore a 40mila euro annui e la condizione di avere almeno due figli. La misura copre le lavoratrici dipendenti, sia a tempo determinato che indeterminato, le libere professioniste e le autonome; restano escluse le collaboratrici domestiche. Per il periodo considerato il trattamento è riconosciuto fino al compimento del decimo anno di età del figlio più giovane, con una deroga sensibile per le famiglie con almeno tre figli: dopo il terzo figlio fino al 18esimo del più piccolo il limite si estende.
Nel corso del 2025 l’importo erogato è di 40 euro mensili, ma la modalità è annualizzata: l’accumulo dà diritto a un pagamento unico di 480 euro a fine anno, anziché a rate mensili. Il beneficio è riconosciuto anche in misura proporzionale per chi ha prestato servizio parziale nel mese e, cosa rilevante per il reddito fiscale delle famiglie, non è tassato. Un dettaglio che molti notano nella vita quotidiana è che questa integrazione, pur modesta, può incidere sulla pianificazione delle spese familiari quando si tratta di interrompere o riprendere l’attività lavorativa dopo la nascita di un figlio.
Novità della manovra e incentivi per il lavoro femminile
La normativa di bilancio introduce modifiche significative. Dal 2026 l’importo del bonus salirà a 60 euro mensili per le beneficiarie con i requisiti previsti, mantenendo però la natura esentasse del contributo. Rimangono in capo al legislatore misure specifiche per incentivare l’occupazione femminile: per le dipendenti con contratto a tempo indeterminato e almeno tre figli è prevista una decontribuzione fino a 3mila euro come agevolazione previdenziale, già prevista in precedenti provvedimenti e confermata nel nuovo assetto normativo.

La manovra introduce inoltre un pacchetto rivolto ai datori di lavoro: per chi assume donne madri di almeno tre figli minorenni, senza impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, è prevista una decontribuzione totale fino a 8mila euro. C’è anche attenzione alla conciliazione: i genitori con tre o più figli conviventi ottengono priorità nelle richieste di trasformazione del contratto da tempo pieno a part-time, e nei casi di sostituzione con contratto a termine è possibile prorogare il rapporto per un periodo di affiancamento fino al primo anno di vita del bambino. Un fenomeno che in molte aziende è già emerso è la maggiore attenzione alle politiche interne di flessibilità: molte imprese nel Nord e nel Centro Italia stanno rivedendo i piani di inserimento per rispondere a questi incentivi.
Nel complesso, le modifiche delineano un doppio binario: da un lato un incremento dell’importo a favore delle famiglie con requisiti economici, dall’altro una serie di strumenti rivolti al mercato del lavoro per favorire l’occupazione femminile e la conciliazione. Il risultato pratico potrebbe essere una maggiore pressione sulle risorse dei servizi di assistenza alle pratiche e, per le famiglie, l’esigenza di pianificare con cura la domanda per non perdere finestre utili di erogazione.






