Nel corso dell’ultima puntata di The Daily, podcast quotidiano del New York Times, sono state analizzate le ultime mosse del presidente degli Stati Uniti, concentrandosi soprattutto sugli accordi raggiunti tra Israele e Hamas. Per quanto il tycoon abbia definito l’accordo di pace “storico”, i giornalisti hanno evidenziato che in realtà è più fragile e incompleto di quel che traspare.
L’accordo di pace proclamato da Trump
La puntata si è aperta parlando dello scambio di prigionieri che ha scosso lo scenario israelo-palestinese: Hamas ha liberato venti ostaggi vivi da Gaza, mentre Israele ha risposto rilasciando quasi duemila detenuti palestinesi. Nella Striscia, l’evento ha scatenato manifestazioni di gioia. A Khan Yunis, nei pressi dell’ospedale Nasser, un insegnante di inglese, Mustafa Abu Taha, ha descritto la folla come “la più grande che abbia mai visto”, tra canti e bandiere sventolanti in nome della libertà. Molti si sono detti fiduciosi della fine della guerra, convinzione rafforzata dalle parole del presidente americano Donald Trump.
Il discorso trionfale e la retorica della “nuova era”
Trump ha trasformato l’episodio in un momento mediatico mondiale. Nel suo intervento alla Knesset, il parlamento israeliano, ha parlato della “fine di un’era di terrore e morte” e dell’inizio di “un’epoca di fede e speranza”, proclamando “l’alba storica di un nuovo Medio Oriente”. Il tono è quello del trionfo personale: il leader americano si è attribuito il merito del risultato e viene accolto con entusiasmo sia dal governo israeliano sia dall’opposizione.
Il corrispondente David Sanger, che ha seguito il viaggio presidenziale, ha descritto il discorso come un “giro d’onore”, in cui Trump ha speso più tempo ad autoelogiarsi che ha spiegare i contenuti dell’accordo.
Le ambiguità dell’intesa esaltata da Trump
Dietro la retorica, l’accordo mostra tuttavia debolezze sostanziali. Lo stesso Sanger ha evidenziato delle divergenze profonde tra le dichiarazioni di Trump e la prudenza di Benjamin Netanyahu, che finora ha evitato accuratamente di pronunciare la frase “la guerra è finita”.
Il piano di pace, strutturato in venti punti, prevedeva condizioni che Hamas non avrebbe mai potuto accettare, come il disarmo o la rinuncia al controllo su Gaza. Il gruppo palestinese si è limitato infatti ad approvare la prima parte del documento, relativa allo scambio di prigionieri, chiedendo ulteriori negoziati sugli altri punti. Trump ha interpretato quel consenso parziale come un via libera completo, annunciando un accordo di pace che nei fatti non esiste.
Un accordo senza futuro
Durante il suo discorso di oltre un’ora, per lo più improvvisato, Trump ha evitato i nodi più complessi: il futuro politico di Gaza, la ricostruzione, le scelte che Israele dovrà affrontare, e soprattutto la questione dei due Stati. Tutto è rimasto sul piano della celebrazione, senza un progetto operativo.
Un successivo summit convocato a Sharm el-Sheikh con circa trenta leader internazionali avrebbe dovuto definire i dettagli — dalla creazione di una forza di stabilizzazione al finanziamento per la ricostruzione — ma né Israele né Hamas ha scelto di prendervi parte. La riunione si è conclusa con una generica adesione al piano di Trump, senza decisioni concrete.
Sanger ha concluso il suo intervento dicendo che l’approccio di Trump assomiglia più a quello di un imprenditore immobiliare che a quello di un diplomatico: “Lancia un grande concetto e lascia agli altri il compito di gestire i dettagli”. Il rischio, ha osservato, è che l’entusiasmo mediatico si dissolva rapidamente, lasciando Gaza priva di un percorso politico e di un sostegno duraturo da parte della comunità internazionale.
Per approfondire: “La vittoria armata di Israele porti la pace in Medio Oriente”. Il discorso integrale di Donald Trump alla Knesset






