Taipei, 13 ottobre 2025 – Nonostante i continui sforzi di Taiwan per rafforzare la propria posizione strategica a livello globale attraverso investimenti nell’industria tecnologica e nella difesa, il vero tallone d’Achille dell’isola rimane il suo approvvigionamento energetico. La dipendenza quasi totale dall’importazione di combustibili fossili mette in pericolo la sicurezza energetica di Taiwan, soprattutto in un contesto di crescenti tensioni con la Repubblica Popolare Cinese. A causa di questa dipendenza energetica, Pechino potrebbe tentare di prendere l’isola senza invaderla.
La vulnerabilità energetica di Taiwan: un rischio strategico cruciale
Taiwan, conosciuta come la “provincia ribelle” da Pechino, dipende per circa il 97-98% della sua energia da fonti importate, in larga parte via mare. Il gas naturale liquefatto (GNL) rappresenta circa il 40% della produzione elettrica, affiancato da carbone e fonti rinnovabili, mentre il nucleare è stato recentemente abbandonato a seguito della chiusura dell’ultimo reattore. Questa situazione espone gravemente Taipei a un possibile blocco navale cinese, strategia che Pechino potrebbe adottare per strangolare l’isola senza ricorrere a un’invasione militare diretta.
Secondo il Wall Street Journal e analisi condotte dal Center for Strategic and International Studies, un blocco delle rotte marittime principali porterebbe all’esaurimento delle riserve di GNL in pochi giorni, con conseguente blackout elettrico e interruzione della produzione industriale. Le scorte di carbone, invece, potrebbero garantire energia per circa una settimana. Oltre all’energia, un blocco totale comprometterebbe anche l’importazione di beni di prima necessità, mettendo a rischio la sicurezza alimentare, dato che circa il 70% del cibo è importato.
Il governo taiwanese, guidato dal premier William Lai, è consapevole del problema e sta cercando di incrementare lo stoccaggio energetico e di riconsiderare il nucleare come possibile soluzione per aumentare l’autosufficienza. Tuttavia, la transizione verso una maggiore indipendenza energetica è ancora lunga e complessa, mentre le priorità strategiche rimangono concentrate sulla preparazione militare per fronteggiare una possibile aggressione cinese entro il 2027, data indicata da analisti occidentali come potenziale scadenza per un tentativo di invasione da parte di Pechino.
Il dibattito sul ritorno al nucleare e le implicazioni politiche
Nel 2025, Taiwan ha spento l’ultimo impianto nucleare, raggiungendo l’obiettivo di una “patria libera dal nucleare”, sancito dal governo del Partito Democratico Progressista (DPP) nel 2016. Tuttavia, la recente consultazione referendaria per la riattivazione del reattore Maanshan-2 ha evidenziato una frattura nell’opinione pubblica. Sebbene la maggioranza dei votanti si sia espressa a favore della riapertura dell’impianto, il quorum richiesto non è stato raggiunto, lasciando la questione aperta e indicando un crescente ripensamento sul tema energetico, soprattutto alla luce delle minacce geopolitiche.
Il referendum è stato soprattutto un tentativo del Kuomintang (KMT), principale forza di opposizione, di riprendere terreno politico e rispondere alle pressioni interne, tra cui le votazioni di recall contro alcuni parlamentari accusati di eccessiva vicinanza a Pechino. Il KMT ha puntato sulla questione nucleare come simbolo di progresso e sicurezza energetica, mettendo in discussione la rigidità antinucleare del DPP, che ora sembra adottare un approccio più pragmatico.
Storicamente, il nucleare è stato un tema divisivo a Taiwan, con una forte opposizione derivante da scandali di corruzione e dalle paure legate a incidenti come quello di Fukushima. Nel contesto attuale, però, le pressioni geopolitiche e le interruzioni di energia, anche dovute a blackout recenti, spingono verso una rivalutazione delle fonti energetiche.






