Damasco, 28 novembre 2025 – Un’operazione militare israeliana ha causato la morte di almeno 13 persone nel sud della Siria, nella zona di Beit Jinn, località situata a pochi chilometri dal confine con Israele. Secondo le ricostruzioni, unità dell’esercito israeliano, supportate da artiglieria e aviazione, hanno condotto un’incursione per arrestare alcuni miliziani, nonostante i recenti tentativi diplomatici volti a raggiungere un accordo di sicurezza tra i due governi.
Ne sono seguiti pesanti scontri con gruppi armati locali, mentre alcuni edifici sono stati colpiti dai raid aerei israeliani.
Raid Idf sulla Siria: i dettagli
Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno confermato l’operazione, sostenendo di essere state attaccate da militanti della Jaama Islamiya. L’esercito ha parlato di diversi “terroristi eliminati” e di almeno sei soldati feriti.
Fonti sanitarie siriane citate dall’agenzia statale Sana riferiscono invece di oltre dieci morti e decine di feriti, avvertendo che il bilancio potrebbe aggravarsi, anche perché le ambulanze siriane hanno potuto raggiungere l’area solo dopo i controlli dell’Idf.
Najat Rochdi, vice inviata speciale delle Nazioni Unite per la Siria, ha condannato duramente l’operazione israeliana, definendo la morte di civili e lo sfollamento di famiglie a Beit Jinn “una grave e inaccettabile violazione della sovranità e dell’integrità territoriale siriana”.
Rochdi ha inoltre invocato “la cessazione immediata” delle incursioni israeliane e il rispetto dell’accordo di disimpegno del 1974 tra Siria e Israele, che Tel Aviv ha dichiarato decaduto dopo la destituzione di al-Assad.
L’operazione si inserisce in un quadro di crescente instabilità nel sud della Siria, dove Israele compie regolarmente azioni mirate per contrastare la presenza di gruppi considerati ostili.
Tel Aviv mantiene una posizione di forte diffidenza nei confronti del nuovo governo siriano guidato dall’ex jihadista Ahmed al Sharaa e nei mesi scorsi è intervenuta a sostegno della comunità drusa nei conflitti etnici scoppiati dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad, avvenuta nel dicembre 2024.
Successivamente alla caduta del regime, Israele ha invaso e occupato alcune aree della Siria meridionale, compresi villaggi e città dove in passato aveva sostenuto milizie anti-governative e gruppi ostili alle milizie filo-iraniane.
Un paese frammentato e la complessità delle dinamiche interne
La Siria resta un territorio profondamente diviso: il governo di Al-Sharaa controlla attualmente solo circa il 60-70% del territorio nazionale, mentre la situazione di sicurezza è drammatica in alcune aree, come il distretto di Latakia, teatro di un massacro della comunità alawita con circa 1700 morti lo scorso marzo, e nella regione drusa dove le tensioni settarie sono costanti. Recenti attacchi terroristici, tra cui quello alla chiesa di Mar Elias che ha causato almeno 25 vittime, hanno ulteriormente indebolito la percezione del governo come garante della sicurezza.
La minoranza drusa siriana, che ha storicamente mantenuto un’autonomia significativa sotto il regime Assad, teme ora che il nuovo governo possa ridurre questo status, mentre la comunità drusa in Israele, numerosa e considerata tra le più fedeli allo Stato ebraico, osserva con preoccupazione gli sviluppi nella regione.






