Al-Fashir, Sudan – 14 novembre 2025 – La drammatica testimonianza dei sopravvissuti all’assedio di Al-Fashir, capitale del Darfur Settentrionale, rivela un quadro di sofferenze indicibili e atrocità di massa che continuano a scuotere la regione nonostante la caduta della città nelle mani delle Forze di Supporto Rapido (RSF). Questo assedio, durato più di diciotto mesi, ha trasformato Al-Fashir in uno scenario di fame estrema, violenze sistematiche e sfollamenti forzati, con un bilancio umano che si fa sempre più grave e una crisi umanitaria senza precedenti in Sudan.
La testimonianza degli abitanti e le atrocità subite lungo la fuga
Azza Amin Mohammed Salih, una delle sopravvissute, racconta: «Siamo scappati da Al-Fashir la notte del 25 ottobre. Il viaggio verso Tawila è durato due giorni e mezzo, attraversando orrori indescrivibili: arresti arbitrari, perquisizioni violente, furti e uccisioni. Lungo la strada abbiamo visto cadaveri sparsi ovunque, vittime di esecuzioni sommarie e attacchi indiscriminati». La violenza delle RSF ha infatti colpito indiscriminatamente civili, donne, bambini e anziani, separando i gruppi per sesso, età e identità etnica, con numerosi casi di torture, stupri di gruppo e sequestri a scopo di riscatto.
La malnutrizione acuta ha raggiunto livelli catastrofici tra i profughi. Secondo i dati di Medici Senza Frontiere, tra il 26 e il 29 ottobre sono stati curati oltre 700 nuovi arrivati a Tawila, molti dei quali con gravi ferite da arma da fuoco, fratture e segni evidenti di torture. Oltre il 50% dei bambini sotto i cinque anni presenta malnutrizione acuta grave, e numerosi casi di decessi per intossicazione da ombaz – una pasta a base di bucce di arachidi, usata come mangime animale a causa della carenza di cibo – sono stati registrati nelle ultime settimane.
L’assedio di Al-Fashir e la caduta della città
Al-Fashir, storica capitale del Darfur, è stata per mesi l’ultima roccaforte dell’esercito sudanese nella regione, prima di cadere definitivamente il 26 ottobre 2025 nelle mani delle RSF, gruppo paramilitare che dal 2023 è in conflitto aperto con le forze armate regolari. La caduta è avvenuta dopo un assedio di oltre cinquecento giorni, durante il quale la città è stata circondata da un muro di terra di circa 30 chilometri, costruito dalle RSF per impedire ogni via di fuga e rifornimento.
Gli attacchi con droni, munizioni chimiche non confermate ufficialmente ma evidenziate da numerosi casi di disturbi respiratori acuti tra civili, e la distruzione dei sistemi di comunicazione hanno reso l’assedio ancor più letale. La schiacciante superiorità tecnologica dei paramilitari, supportati da rifornimenti militari provenienti dagli Emirati Arabi Uniti via Libia – compresi droni CH-95 di fabbricazione cinese e artiglieria pesante – ha determinato la sconfitta dell’esercito sudanese, nonostante la resistenza disperata dei soldati e dei civili.
Le fonti sul campo confermano che la ritirata dell’esercito e delle forze congiunte è stata improvvisa e caotica, con numerosi comandanti catturati e un vuoto di potere che ha lasciato la popolazione in balia delle RSF. Il governatore del Darfur, Minni Minnawi, ha immediatamente chiesto la protezione dei civili e un’inchiesta indipendente sui massacri, mentre il generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemetti e leader delle RSF, ha annunciato commissioni d’inchiesta interne e la rimozione delle restrizioni agli spostamenti, promesse contestate dai numerosi casi di sparizioni e violenze continuate.
La crisi umanitaria e le condizioni disperate dei civili
Dall’inizio dell’assedio, oltre 600mila persone hanno abbandonato Al-Fashir, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ma solo una parte di loro è riuscita a raggiungere località relativamente più sicure come Tawila, dove operano organizzazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere e International Rescue Committee. Tuttavia, la maggioranza degli sfollati si trova in condizioni estremamente precarie, con accesso limitato a cibo, acqua potabile, cure mediche e riparo.
L’ospedale Al Saudi, unico centro sanitario ancora operativo a Al-Fashir, è stato bombardato più di 30 volte, costringendo il personale medico a operare in condizioni estreme, spesso senza elettricità né farmaci essenziali. Le violenze sessuali sono utilizzate come arma di guerra: ogni settimana decine di donne si presentano per ricevere cure dopo aver subito abusi, ma il numero reale è probabilmente molto più alto.
Le testimonianze raccolte a Tawila raccontano di sfollati che hanno perso intere famiglie, costretti a viaggiare per giorni senza cibo né acqua, sotto la minaccia costante di attacchi da parte dei paramilitari. Alcuni giovani uomini sono stati catturati e detenuti in centri di detenzione a Garni, dove spesso vengono richiesti riscatti esorbitanti.
L’appello internazionale e la situazione attuale
Le organizzazioni umanitarie, tra cui Medici Senza Frontiere, denunciano apertamente le atrocità di massa e chiedono l’apertura di corridoi umanitari sicuri per consentire ai civili di fuggire e ricevere assistenza. Michel Olivier Lacharité, responsabile delle emergenze MSF, sottolinea l’urgenza di fermare il massacro e di utilizzare l’influenza diplomatica internazionale per mettere fine a questo bagno di sangue.
Nonostante le promesse ufficiali, la situazione sul terreno rimane critica. Le RSF continuano le cosiddette “operazioni a tappeto” nei quartieri di Al-Fashir, e numerose persone risultano ancora disperse o scomparse. Gli sfollati sopravvissuti vivono costantemente sotto la minaccia di nuove violenze, con una crisi umanitaria che rischia di peggiorare ulteriormente se l’attenzione internazionale non si tradurrà in interventi concreti e tempestivi.
Le cicatrici di questa lunga guerra si sommano a quelle di un passato segnato da conflitti e resistenze, con Al-Fashir che oggi si trova a rappresentare il simbolo di una tragedia umana che continua ad evolversi sotto gli occhi del mondo.





